Le riflessioni di chi ha visto il filmato

Libera psiche in libero corpo

di Annalisa Benedetti

 “Pelle di Sirena”, nasce come musical, nel 1989. Lo spettacolo, sceneggiato e diretto da Antonietta Laterza, vuole raccontare, in modo provocatorio e senza censure, il punto di vista di una donna disabile rispetto all’eros e alla sensualità.

Nel 2010 la cantautrice bolognese decide di realizzarne un video affidandosi al regista Gianmarco Rossetti.

A mio avviso, ne esce un filmato d’essai. Un mediometraggio, se mi passate il termine, da “cineforum”, da circolo culturale, da “rassegna” dove il pubblico che decide di partecipare, oltre che essere ben preparato sul tema dei contenuti, è consapevole che potrebbe sorbirsi una “mattonata” anche dal punto di vista cinematografico.

La stessa artista mi confida che: “il video è particolare, ha un taglio più artistico che documentario ma io l’ho fatto per fare una cosa che piacesse a me e non su commissione… che non a tutti piaccia e interessi l’ho messo in conto, ma il mio ragionamento è stato quello di sperimentare in piena libertà contenuti e linguaggi”.

Ho avuto modo di guardare il film a casa mia, comoda sul divano, da sola e in silenzio.

E’ un film che va ascoltato più che visto. Difficile da capire al primo colpo. La scelta stilistica può effettivamente risultare pesante, mi riferisco al taglio delle inquadrature, alla staticità e alla lentezza del susseguirsi delle stesse. Non è lo stile del video musicale dinamico e veloce, al quale ormai ci siamo quasi assuefatti, capace di mediare quantità impressionanti di messaggi in meno di cinque minuti. “Pelle di Sirena” è un prodotto d’autore che bisogna affrontare con pazienza e ascoltare con attenzione. Andrej Tarkovskij, Lars von Trier, Wim Wenders, Akira Kurosawa, docet! A loro tutto è concesso. Saranno pure “mostri sacri”, ma, de gustibus, proprio non li reggo! 

Per scrivere quello che sto scrivendo ho avuto bisogno di un paio di settimane per metabolizzarlo.

Proiettarlo nell’ambito dell’Assemblea nazionale UILDM, mi rendo conto a posteriori, è stato un azzardo. La reazione del pubblico lo ha confermato. Un pubblico preparato all’impatto con temi che riguardano la condizione di vita di una persona con disabilità. Ma che tipo di impatto? E che tipo di temi? E con quale linguaggio è abituato a sentir parlare di un certo tema? 

Contenuti

L’introduzione al racconto autobiografico, è recitata sulle note di “Casta Diva”, l’aria più celebre dell’opera “Norma”, composta da Vincenzo Bellini. Con dotti riferimenti al mito greco delle sirene di Odisseo, la protagonista spiega la fuga dalla sua condizione originaria per rincorrere tentazioni terrene alle quali non saprà più rinunciare, mentre le immagini mostrano lo scorrere lento di navi sopra un mare che sembrano quasi sovrapporsi l’una all’altra.

Da quando comincia il racconto autobiografico, le inquadrature sono prevalentemente dedicate al corpo di Antonietta sdraiata su un letto, con indosso una succinta sottana corta dalla scollatura generosa. A volte immobile, a volte intenta ad accarezzarsi voluttuosamente seni, fianchi, ventre e zona pubica – senza mai mostrare nudità. La camera lo esplora meticolosamente, soffermandosi a lungo su precisi particolari del corpo e del viso o sui gesti.

Di sottofondo, Antonietta racconta esperienze della sua vita che l’hanno particolarmente segnata. Dalla scoperta della malattia, alla presa di coscienza del suo corpo “menomato” che la fa sentire un mostro o, meglio, una sirena di argonautica memoria; dal primo bacio, alla precoce e orgogliosa perdita della verginità; da un traumatico tentativo mancato di aborto clandestino, alla decisione di partorire la figlia nonostante fosse la nubile diciannovenne di una famiglia per bene che non vuole scandali; dalla drammatica prematura scomparsa del marito, unico vero grande amore della sua vita, alla disperata decisione di prostituirsi, “ultima spiaggia” dove la nostra Sirena si arena agonizzante alla ricerca di una nuova sé stessa. “Sono rimasta vedova in due ore, obbligata a una solitudine forzata fino a quando non ho deciso che era tempo di ricominciare” [1]. Un particolare periodo della sua vita durante il quale Antonietta scopre il suo alter ego, la sua parte più trasgressiva che si impadronisce di lei portandola a sperimentare la massima libertà del piacere. Questo periodo, nel film, è rappresentato come una sorta di symposium composto da personaggi caratteristici che bevono ridendo attorno ad una tavola imbandita dove, al centro, Antonietta resta seria e impassibile guardando lo spettatore. Complice ma allo stesso tempo vittima di questa libertà, Antonietta pare chiedere col suo sguardo fisso e intenso, aiuto. Aiuto per capire e capirsi. “Anche la libertà assoluta si dimostra una gabbia, per cui meglio tornare alla realtà con più consapevolezza di sé […] felice di essere comunque diventata, finalmente, una donna oggetto” [2]. Ovvero, desiderabile al pari delle altre.

Le scene si alternano seguendo il susseguirsi dei periodi di vita raccontata, intervallati talvolta da canzoni scritte e cantate dalla stessa narratrice.

Ci sono scene di forte impatto. Tre mi hanno particolarmente colpito.

La più commovente: il monologo dedicato al marito.

La più inquietante: un uomo corpulento a dorso nudo morde ripetutamente sul collo Antonietta che non sembra affatto gradire la sanguinolenta vampirizzazione. Sequenza che precede il grido di aiuto della protagonista.

La più tosta: la protagonista, inquadrata dall’alto seduta sul pavimento avvolta in un vestitino di candido tulle dice: “Porno bambolina in carrozzina molto sensuale età indefinita pronta a soddisfare i tuoi sogni erotici”. È l’annuncio che apre il periodo della prostituzione. Seguito da una sua sarcastica tesi sul porno: “Sento e penso che nel porno c’è una profonda ricerca filosofica, niente a che fare con quei casi psichiatrici o crimini mentali, molto a che fare invece col Peccato, quello Originale… Molto, molto originale”. E parte la canzone a mio avviso più ironica del video intitolata, per l’appunto, “Peccato originale”.

Considerazioni personali

Trovo quella di Antonietta una scelta coraggiosa. Quante donne hanno il coraggio di raccontarsi liberamente? In modo esplicito e diretto, senza la minima inibizione, senza il minimo pudore. Descrivere sensazioni e sentimenti riguardo il proprio corpo e la propria sessualità utilizzando anche termini gergali? Quante, ancora, hanno il coraggio di mostrare il proprio lato più debole? Quante di raccontare anche le esperienze più dure e drammatiche della loro vita? Ma soprattutto quante se la sentono di “fare i conti con sé stesse” pubblicamente?

In questo video non colgo solo il lato sensuale di Antonietta. Colgo prima di tutto il tormentato percorso di una donna che, per poter vivere “liberamente” la sua vita – anche la sua vita sessuale – e imporsi come donna diversamente abile come tutti [3], ha dovuto continuamente lottare contro pregiudizi e barriere culturali esterni, ma anche scendere a compromessi con sé stessa.

Sempre a mio avviso Antonietta è riuscita a incanalare in un prodotto artistico la propria aggressività, le proprie angosce, le proprie frustrazioni, i propri sensi di colpa, delle continue battaglie, a volte perse a volte vinte, con il proprio corpo e la propria psiche.

“Pelle di sirena” non parla solo di sessualità. La sessualità è l’elemento che Antonietta decide di utilizzare come fil rouge per raccontare la propria vita.

Note

[1] Superabile.it, 14 febbraio 2008 (Michela Tigrari)
[2] Superabile.it, 14 febbraio 2008 (Michela Tigrari)
[3] Definizione coniata da Antonietta Laterza


Serviva qualche spiegazione in più

di Emanuela Pozzan 
Giorni fa ho assistito allo spettacolo “Pelle di sirena” di Antonietta Laterza, organizzato dal Gruppo donne UILDM. La prima parte è stata esilarante, ed i tentativi di coinvolgimento del pubblico sono andati a buon fine. All’inizio faceva un certo effetto vedere esibirsi sul palco un’artista in carrozzina elettrica, forse non siamo abituati a questo, ma avevamo la sensazione che tutto fosse possibile, nell’aria regnava un senso di libertà, e l’artista ci trasmetteva un senso di serenità interiore, in questo c’era molta professionalità.

La seconda parte dello spettacolo forse avrebbe dovuto essere presentata al fine di introdurre il tema a luci rosse che si stava intavolando. Con un cortometraggio l’artista ha messo in evidenza la propria femminilità e sessualità. In sala era presente un pubblico impreparato e variegato, fatto anche di anziani e di bambini. La svista sui contenuti comunque non è da recriminare a nessuno se non alla protagonista stessa.

Bisognava dare il tempo alle persone di scegliere se assistere o meno a qualcosa che poteva turbare. Dal mio punto di vista, a parte qualche parola volgare, che senz’altro è stata usata per calcare il messaggio, il corto non era poi tanto estremo, probabilmente il contenuto in termini di linguaggio è stato il lato più criticabile.

Personalmente ho apprezzato molto il coraggio dell’artista nel mettere a nudo i propri pensieri, nell’esibire il proprio corpo incurante dei giudizi altrui. Non ritengo facile mostrare le proprie cicatrici e deformità. Tutti siamo portati a nasconderle, non so se per buon gusto o se per paura. Forse è giunto il momento che qualcuno lanci qualche provocazione, ma il limite tra il dare il giusto messaggio ed il cadere nella volgarità è flebile.

Presumo infine che per mediare sui giudizi delle persone, bisognerebbe dare maggiori spiegazioni alle varie scene, come, ad esempio, la presenza di navi e di altri elementi. L’audio inoltre non permetteva di capire bene le parole di sottofondo e questo ha creato la classica confusione di chi vede un film non capendo le parole.

Avrei gradito molto due parole da parte dell’artista, sembrava quasi avesse abbandonato il suo pubblico, se ha avuto il coraggio di esporsi, doveva farlo fino in fondo. Invito l’artista a rimediare adesso, spiegando più ampiamente il suo lavoro.


Niente d’interessante

di Valentina Boscolo 
Mi è stato chiesto cosa pensassi dello spettacolo “Pelle di Sirena” di A. Laterza, ecco la mia riflessione: non l’ho trovato particolarmente interessante, e pur ammettendo che l’opera ha un’impronta autoreferenziale, non mi pare che abbia delle cose particolari da raccontare. Trovo sminuente che una donna per autoaffermarsi debba ancora ricorrere a mezzucci seduttivi fini a se stessi, senza puntare su doti ben più importanti e durature. Ma questo vale anche per donne normodotate.

Antonietta è un’artista e per descriversi utilizza un’iperbole, ma il messaggio di fondo non cambia: per essere uguali agli altri uso il mio corpo (per vendetta dice lei), e questo non mi trova assolutamente d’accordo.

Questo è quanto ho da dire, non avendo partecipato alle Manifestazioni Nazionali UILDM non posso essere più precisa.


Forse…

di Oriana Fioccone
Da diversi anni non partecipo più “fisicamente” all’incontro annuale del Gruppo donne, ma cerco di tenermi aggiornata con i lavori di preparazione e, poi, per sapere quanto avviene durante l’assemblea e come vengono accolte le iniziative proposte dal nostro Gruppo.

Per questo sono venuta a sapere che lo spettacolo promosso dalle donne UILDM ha “sconvolto” i consueti lavori assembleari.

Proponendo il video di Antonietta Laterza era nostra intenzione fare qualcosa di diverso rispetto agli anni passati, ma, forse, proprio in questo si è un po’ esagerato, ed il pubblico non era stato preparato in misura adeguata a conoscere a cosa andava incontro.

Visto tutto il “rumore” che si era sollevato, ho voluto visionare il video in questione, allo scopo di cercare di capire i motivi di quanto è successo, e le ragioni per cui Antonietta Laterza ha realizzato la sua opera.

Mentre guardavo il filmato mi sono chiesta: perché una persona vuole raccontare la parte di sé più intima e personale in modo così manifesto?

Mi è sembrato che l’intenzione fosse soprattutto quella di stupire, quasi a voler dimostrare, a tutti i costi, di essere come gli altri e forse più degli altri.

Si vuole forse dimostrare di essere stata più precoce degli altri bambini? Ed allora si racconta di aver cercato il primo bacio a 9 anni, prima degli altri bambini.

Si vuole forse raccontare di essere stata più spregiudicata delle altre adolescenti? Ed allora si descrive in che modo si è cercato il primo rapporto prima delle amiche.

Si vuole forse essere come le persone che amano mettersi in mostra? Ed allora si illustrano le proprie vicende più intime con un linguaggio che vorrebbe essere intrigante e disinvolto.

Si vuole forse dimostrare di essere come gli altri? Ed allora ci si esibisce più degli altri.

In questo volersi mettere al centro dell’attenzione, c’è quasi un desiderio di volersi mostrare “più normale dei cosiddetti normali” (mi si scusi il gioco di parole).

Noi disabili, per essere considerati come le altre persone, dobbiamo forse comportarci in maniera più appariscente ed egocentrica degli altri, esagerando tutti, ma proprio tutti, i comportamenti altrui?

Domande, domande, domande, alla fine della visione l’unica certezza era che mi ero un po’ annoiata nel vedere e sentire cose, in fondo, già viste e sentite dai cosiddetti “normali”, ma forse non ho semplicemente la sensibilità necessaria per comprendere l’opera di un’artista.


Eravamo tutti pronti

di Fulvia Reggiani
Pelle di Sirena: “Anche volendo non saremmo riuscite a creare un simile scompiglio!”
Eravamo tutti pronti per vedere lo spettacolo. Io, mia mamma al fianco ed un’altra cinquantina di persone (o forse più). Gaia ed io eravamo in prima fila, in qualità di promotrici dell’evento insieme al Gruppo donne, orgogliose di aver portato in assemblea qualcosa di innovativo, di diverso rispetto ai soliti seminari pre-assembleari: lo spettacolo di Antonietta Laterza, “Pelle di Sirena”.

Da ciò che avevo rilevato al riguardo, scandagliando alcune recensioni su internet, ero pronta a vedere un’esibizione che alternava brani musicali scritti e cantati da Antonietta con parti recitate di un racconto autobiografico. Ma, ahimè, non è andata così.

Alle 21.15, anticipato da una breve presentazione di Gaia, ha inizio lo spettacolo che, al suo termine, avrebbe previsto un eventuale dibattito.

Antonietta, capelli lunghi mori, vestito nero piuttosto succinto, trucco appariscente e modi da seduttrice di uomini, sale sul palcoscenico con la sua carrozzina elettrica e inizia il suo show. 

La prima parte si è svolta coinvolgendo il pubblico, che la accompagnava nei ritornelli o ritmando con il battito delle mani, canzoni divertenti, a volte riflessive, a volte ironiche, alternate a un paio di brevi racconti scritti da ragazze disabili presenti in sala, e invitate in precedenza.

Fin qui tutto ok. Ma a quel punto è arrivato il bello…

Nel frattempo, alle mie spalle, qualcuno se n’era già andato; forse annoiato o più probabilmente già turbato da questa presenza un po’ fuori dalle righe.

Dopo l’ultima canzone, ho scoperto che era l’ultima quando Antonietta ha inserito un DVD in un lettore, ho cominciato a capire che il racconto autobiografico non sarebbe stato recitato da lei sul palco, ma raccontato da questo filmato. Questo filmato ci ha catapultati in una storia visiva e uditiva a dir poco surreale, dove le immagini esplicite del corpo seminudo di lei, che sfiorandosi cercava piacere, erano accompagnate da un racconto di vita, a tratti onirico a tratti reale, ma dove la realtà si spingeva all’eccesso, fino a raccontarci di un tentato aborto o di come sia bello praticare sesso orale.

Non mi addentro oltre nella disamina di ciò che stavo vedendo, perché non sono un critico d’arte e nemmeno voglio, né posso, giudicare le scelte del tutto personali di Antonietta, che si sono spinte fino alla vendita del proprio corpo.

Fatto sta che, dopo 10 minuti di proiezione (il tutto è durato quasi un’ora), la sala si era quasi svuotata ed io, con mia mamma accanto volta verso di me a commentare il video, sicuramente turbata e forse anche scandalizzata, ero imbarazzatissima. Nella mia mente si era insinuato il solo pensiero di come avrei potuto motivare questa nostra scelta, quindi speravo che il tutto finisse al più presto.

Terminato il filmato eravamo rimasti in poco più di 10 persone e qualcuno ha anche provato a porre qualche domanda ad Antonietta la quale, però, forse imbarazzata, o probabilmente offesa dalle reazioni dei partecipanti, non ha voluto rispondere.

Anche volendo non saremmo riuscite a creare un simile scompiglio! La sera stessa, e persino il giorno dopo, tutti ne parlavano: chi indignato e chi perplesso, chi aveva apprezzato il suo coraggio, chi si domandava come avesse potuto avere “tanto coraggio”, e chi non avendo visto lo spettacolo, a quel punto, era pentito di non essere stato presente ad un evento che era sulla bocca di tutti.

Alberto Fontana, il nostro presidente, forse anche spinto da qualche anziano socio sdegnato per quanto era stato proposto, ha chiesto a me e a Gaia le ragioni di quella scelta e, persino durante l’assemblea, ha fatto una battuta per sdrammatizzare lo scandalo suscitato.

Sinceramente, presa in contropiede e anche io imbarazzata, ho potuto solo rispondere che mi scusavo per aver avuto la leggerezza di proporre qualcosa di cui non conoscevamo i contenuti.

Ripensandoci, e confrontandomi con le ragazze del Gruppo Donne UILDM i giorni successivi all’assemblea, mi sono convinta che, se avessimo proposto lo spettacolo con le dovute premesse e con un dibattito successivo, avremmo potuto ottenere risultati molto apprezzabili, perché parlare di sesso e di disabilità al femminile non dovrebbe più creare scandalo, o sdegno, o scalpore, ma, semplicemente, renderci consapevoli che ognuno di noi ha il diritto di vivere la propria vita e la propria sessualità nel modo in cui ritiene più giusto.


Colpevole di desiderare

di Simona Lancioni

«Ho infranto i limiti dell’infinito,
io, colpevole di desiderare […]»

Antonietta Laterza

«Un disastro!» Penso di aver capito male, la linea del telefono è disturbata. Ma Gaia – una delle componenti del Coordinamento del Gruppo donne UILDM – scandisce nuovamente: «Un disastro!». Visto che non avevo avuto la possibilità di partecipare, l’ho chiamata al telefono per sapere com’era andato lo spettacolo «Pelle di sirena» realizzato da Antonietta Laterza e promosso dal Gruppo donne nell’ambito delle Manifestazioni nazionali UILDM. Abituata al pieno di complimenti, il pieno di dissensi mi suonava strano. Ma cosa era successo? Gaia mi spiega che il problema si è verificato in relazione ad un filmato proiettato nell’ambito dello spettacolo: immagini di carattere sessuale e linguaggio troppo forti per gli impressionabili spettatori della UILDM, che non erano stati preparati a questo, e si aspettavano una tranquilla serata di spensierato intrattenimento.

Mi faccio spedire una copia del filmato e mi dispongo a guardarlo ben sapendo che, rispetto alla situazione in cui si è trovato lo spettatore della UILDM, ci sono almeno tre importanti differenze. La prima è che io sono a conoscenza del fatto che il filmato ha contenuti forti. La seconda è che posso guardarmi il filmato in privato, senza dover dar conto a nessuno delle mie reazioni. Infine, mi occupo di donne con disabilità da tantissimi anni ed ho imparato ad ascoltarle senza giudicarle.

Il filmato «Pelle di sirena» (soggetto e sceneggiatura di Antonietta Laterza, regia di Gianmarco Rossetti, 2010) dura circa 55 minuti. Si tratta di un’opera che alterna la narrazione ai brani musicali, e utilizza in modo allegorico il mito della sirena. Ha per protagonista Antonietta Laterza, un’artista con disabilità motoria, e come messaggio portante la rivendicazione della libera espressione del desiderio sessuale da parte della donna disabile. Lo guardo per intero. Le allusioni sessuali esplicite ci sono, ma non mi sembrano tali da giustificare una reazione di dissenso che, mi dicono, si è connotata come forte, omogenea, generalizzata.

Provo a scomporre.

Alla UILDM hanno difficoltà a riconoscere alla donna disabile il diritto a rivendicare la propria libertà sessuale?

Stento a crederlo. Il Gruppo donne, sin dai suoi esordi, ha sposato senza indugio questa rivendicazione. Nessuno ci ha mai criticato per questo. Anzi, abbiamo sempre ricevuto una gran quantità di apprezzamenti.

Possono aver turbato gli ammiccamenti di Antonietta?

I balletti delle veline del programma televisivo «Striscia la notizia» vi sembrano più casti? Meno maliziosi? Meno provocanti? Non ne sarei così sicura. In «Pelle di sirena» almeno la donna non fa da cornice decorativa a nessuno, non è muta. E’ la protagonista e rivendica qualcosa che alla donna qualunque è riconosciuto (quando non, addirittura, socialmente prescritto), ma alle donne disabili è ancora ampiamente negato: proporsi in modo erotizzato.

Può aver dato noia il fatto che Antonietta abbia girato alcune scene in abiti succinti, mostrando il suo corpo?

Il corpo delle donne viene comunemente usato per vendere qualsiasi tipo di prodotto. Dalla più piccola caramella al profumo più seducente, dagli alimentari più gustosi all’automobile più veloce, dalla colla più isolante che ci sia al liquore più amabile. Non mi sembra che nessuno ne sia particolarmente traumatizzato. Nello specifico del filmato «Pelle di sirena» invece, se consideriamo che il tema portante è la rivendicazione della libera espressione del desiderio sessuale da parte della donna disabile, mostrare il corpo può essere considerata una scelta pertinente. O qualcuno pensa che la sessualità delle persone disabili (maschi o femmine che siano) debba essere incorporea?

Può aver infastidito il fatto che Antonietta (classe 1953) mostri senza riserve un corpo sul quale sono visibili i segni del tempo e le imperfezioni prodotte della malattia?

Ma come, ci lamentiamo in continuazione di un immaginario colonizzato dall’ossessione della perfezione corporea, e ora, davanti a qualcuna che prova a sdoganare un corpo diverso, gridiamo allo scandalo?

Oppure il motivo del turbamento sta nel fatto che Antonietta Laterza ha deciso deliberatamente di scindere sessualità e sentimenti?

Ebbene, neanche questa è una novità. Quando nel 1999 abbiamo chiesto a 68 donne disabili “Un luogo comune dice che una storia sentimentale con una persona disabile non può essere un’avventura. Condividi questo assunto?” Il 57 % di esse ha detto di non condividerlo, contro un 26 % di coloro che si dichiaravano in sintonia (S. Lancioni (a cura di), Tra il corpo e gli affetti, Padova, Redazione di DM, 1999). Più recentemente, stando ai dati riportati in una tesi di laurea dell’a.a. 2006-2007, scopriamo che la percentuale di donne disabili contrarie a tale affermazione è salita al 74,4 % (F. Arpone, Sessualità e disabilità fisica: uno studio empirico, tesi di laurea, Università degli Studi di Firenze, Facoltà di Psicologia, a.a. 2006-2007). In nessuno dei due casi il campione può considerarsi rappresentativo (non è essendo costruito con una tecnica tale da poter estendere i dati dello stesso alla popolazione delle donne disabili italiane), tuttavia l’informazione che quei dati fanno trasparire si discosta abbastanza dall’idea romantica, sintetizzata nell’espressione «non c’è sesso senza amore», che alcuni, quando si parla di sessualità e disabilità, continuano a voler riproporre.

Che il problema sia stato il linguaggio, da più parti definito volgare?

E’ vero, il linguaggio utilizzato è quello del volgo. Ma dobbiamo tenere presente che molte persone disabili si sono stufate di veder trattati questi temi con taglio medico, o psicologico, o psichiatrico. Con un registro tanto politicamente corretto quanto asettico. La sessualità calata nel reale è tutt’altro che asettica. E se da un lato va riconosciuto che il linguaggio impiegato nel filmato può urtare la sensibilità di alcuni, dall’altro lato si può scorgere in questa scelta la volontà di voler avvicinare il tema alla quotidianità delle persone disabili, piuttosto che considerarlo, per l’ennesima volta, come una faccenda da operatori e specialisti.

C’è poi un ultimo aspetto: non è che le rivendicazioni di Antonietta – espresse in un modo così diretto, esplicito ed ineludibile – hanno dato fastidio perché provenivano da una donna e non da un uomo?

Mi limito a constatare che la maggior parte dei termini comunemente utilizzati per denigrare o irridere la donna che osa tanto, un corrispettivo maschile non ce l’ha neanche. Interessante, no?

Io credo che il Gruppo donne UILDM abbia sbagliato a non informare preventivamente il pubblico che lo spettacolo «Pelle di sirena» era adatto ad un pubblico adulto, e di questo, in qualità di componente del Coordinamento del Gruppo, sento il bisogno di scusarmi pubblicamente. Infatti, se adeguatamente informate, le persone avrebbero avuto la possibilità di scegliere in libertà se partecipare o meno allo spettacolo. In questo modo, invece, questa libertà non è stata garantita. Ma, posto questo, non ho alcun dubbio sul fatto che la scelta del Coordinamento del Gruppo donne UILDM di ospitare lo spettacolo di Antonietta Laterza sia stata legittima e in sintonia con lo spirito del Gruppo. Il nostro compito, infatti, non è quello di selezionare e proporre solo narrazioni rassicuranti, lineari, suscettibili di riscuotere l’approvazione sociale. La nostra missione è raccontare e descrivere la realtà delle donne disabili, anche quella più controversa, più complessa, più difficile da comprendere ed interpretare. La nostra missione è dare voce a tutte le donne disabili che pensano di avere qualcosa da dire. Tutte: nessuna esclusa.

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