Perché un seminario sull’estetica e la cura di sé
Simona Lancioni
I lavori di preparazione del seminario annuale del Gruppo Donne Uildm tengono impegnato il coordinamento del gruppo per alcuni mesi. Si buttano giù, o si raccolgono in giro, un po’ di idee. Si effettua un sondaggio tra i frequentatori dei precedenti seminari. Quindi ci si incammina sulla linea del tema più gettonato articolando un progetto, individuando relatori/conduttori, chiedendo l’approvazione della Direzione Nazionale Uildm…
Il tema “Trucco e parrucco – Estetica e cura di sé” suonava allegro e brioso e, ancora prima che si procedesse al consueto sondaggio, aveva riscosso le simpatie di tutto il coordinamento. Forse eravamo un po’ stanche di temi introspettivi-psicologicheggianti-relazionali. Belli, utili, interessanti, ma non proprio leggeri.
C’era dell’altro? Ci doveva pur essere qualcos’altro per staccare.
Guardando l’evoluzione dell’approccio culturale alla disabilità il trend era chiaro: il passaggio dalla logica della sopravvivenza e del soddisfacimento dei bisogni vitali a quella della qualità della vita della persona disabile. Il passaggio dall’indispensabile all’utile e, perché no, con un altro piccolo sforzo, al superfluo.
No, non si tratta di sposare la teoria consumistica che pone il superfluo sullo stesso piano dell’indispensabile creando nuovi – e falsi – bisogni e dipendenze. Si tratta invece di inframmezzare l’impegno col ludico, il pesante col leggero, il contenuto con l’involucro…. si tratta di tirare il fiato.
Perché dunque non provare a buttarsi sul frivolo? Estetica e disabilità: perché no?
Qualcuno ha chiesto: perché mai una persona disabile che impiega solitamente il doppio o il triplo del tempo mediamente impiegato dalle altre persone per alzarsi, provvedere all’igiene personale, vestirsi e sistemarsi dovrebbe allungare ulteriormente i propri tempi di cura di sé indugiando in civetterie?
Semplice: forse si vuole bene e quel filo di trucco, quella cravatta o quel fresco profumo sono un modo per ricordarlo a sé e al mondo.
Dire, fare, organizzare…
Francesca Arcadu
L’idea
Il seminario di quest’anno, individuato attraverso un sondaggio preliminare tra coloro che hanno partecipato o dimostrato interesse alle attività del Gruppo Donne, è nato dal desiderio di riflettere sui percorsi che portano all’accettazione della propria identità e la cura della propria immagine come eventuale risultato di tale accettazione.
Durante l’incontro volevamo analizzare le relazioni esistenti tra accettazione della propria identità, necessariamente comprensiva della disabilità e la conseguente cura dell’aspetto fisico, che tale identità manifesta all’esterno.
In particolare l’intento era quello di soffermarci su come i due aspetti interagiscano tra loro, ovvero come una maggior cura dell’estetica, pur estremamente soggettiva, possa portare all’accettazione della propria identità ed aumentare il livello di autostima. Viceversa si trattava di capire se un percorso che porti a maturare livelli di autostima più saldi, si rifletta su un diverso e migliore rapporto con la propria fisicità e il proprio aspetto esteriore.
E poi ancora volevamo sondare il rapporto tra disabilità e cura del proprio aspetto, per capire in che modo l’una condizioni l’altro, se vi siano dei luoghi comuni riguardo tale legame e come modificare le tendenze negative in tal senso.
Le intenzioni (ciò che volevamo)
Volevamo che a guidare queste riflessioni fosse un professionista che esaminasse, insieme ai partecipanti, i nessi di cui sopra e chiarisse il rapporto tra interiorità ed esteriorità dal punto di vista dell’estetica e della cura del sè.
In seguito all’intervento teorico del professionista avevamo pensato ad una parte pratica in cui un gruppo di estetisti (studenti o già professionisti) valorizzasse l’aspetto estetico dei presenti. Gli estetisti, dopo aver partecipato alla parte teorica insieme al professionista ed aver condiviso le riflessioni insieme al gruppo, si sarebbero “cimentati” nell’acconciare, truccare e valorizzare i partecipanti.
Lo scopo sarebbe stato quello di realizzare giocosamente quanto appreso durante la fase preliminare, condividendo un eventuale percorso di rivalutazione delle caratteristiche estetiche, per rimettere in discussione il proprio concetto di “bello” o “brutto”.
Contemporanea alla parte pratica, avevamo previsto la presenza di un fotografo professionista che immortalasse i risultati del cambiamento estetico e documentasse le possibilità di valorizzazione di ciascuno.
Le tentazioni (ciò che è stato)
Un mese esatto prima della data stabilita per il seminario, il Coordinamento del Gruppo Donne ha deciso di osare, chiedendo di prendere in considerazione come conduttore dell’incontro Diego Dalla Palma, professionista dell’immagine che non ha bisogno di presentazioni. Ci è sembrata la persona più adatta perché nel suo lavoro ha sempre dimostrato come l’estetica fine a se stessa non sia altro che forma senza sostanza, manifestando interesse a vissuti in cui la malattia ha segnato la consapevolezza dell’importanza di amarsi ed accettarsi, imparando tuttavia a valorizzare le proprie ricchezze. Dalla Palma ha accettato l’incarico affidando ad un suo truccatore di fiducia, Moreno Bettini, la parte pratica. Pietro Sparaco, fotografo professionista, ha permesso di immortalare i risultati del cambiamento estetico e documentato le possibilità di valorizzazione di ciascuno.
E in sala si accendono le luci
Annalisa Benedetti
Anche perché ci vogliamo molto bene, abbiamo scelto il top. Abbiamo scelto di farci consigliare da Diego Dalla Palma. Ci siamo rimesse alle mani esperte del truccatore Moreno Bettini. Abbiamo concesso al fotografo Pietro Sparaco di raccontarci attraverso le sue immagini.
In platea una cinquantina di persone.
Sul palco, uno specchio che si innalza da terra per circa due metri attende le protagoniste, pronto a riflettere la loro immagine. Prima e dopo l’intervento del truccatore. Accanto un tavolino che ben presto si riempie di colori e strumenti pronti a valorizzare il meglio dei nostri visi.
“Vedo nei vostri sguardi lucentezza, sfida, sconfitta, gioia, amarezza. Confrontiamoci. Credo che questo incontro sarà straordinario. E lo sarà se troviamo risposte non ovvie. E per questo, ho sicuramente bisogno del vostro aiuto”.
Così ci promette Diego Dalla Palma. Si presenta regalandoci piccoli pezzi del suo puzzle personale, della sua vita privata, antica e presente. Ci svela la persona che è. Non il vip che appare.
E, con il microfono in mano, comincia a dirigere il concerto.
“Chi prendiamo”?
Le volontarie non mancano. Il truccatore forgia i suoi attrezzi. Il fotografo immortala ogni fase. Le modelle sembrano apprezzare.
E mentre sul palco è di scena il make-up, in platea, il consulente d’immagine più famoso del mondo intesse un dialogo con tutte noi.
Non è stato un seminario, passatemi la metafora, “acqua e sapone”.
Si è parlato di come applicare cipria, mascara e lucida labbra per una resa e una durata migliore; di scelta del colore dell’abbigliamento in base all’umore; di abbinamento dei colori tra occhi e matita e tra capelli e vestito; di come scegliere un accessorio per alleggerire e ringiovanire il viso.
E si è parlato della frustrazione quotidiana di chi vuole truccarsi da sola ma la forza fisica non glielo permette; della fatica di dover dipendere da qualcuno; della difficoltà di chiedere aiuto; del disagio che si prova quando ci si imbatte in strutture non adatte ad accogliere una persona in carrozzina dal parrucchiere; della disperazione che ti coglie quando il tuo corpo ti impedisce una vita indipendente; dell’apatia che ti porta a non avere più voglia di prenderti cura di te, del tuo aspetto, di non var più voglia di vivere…
Partendo da un argomento apparentemente futile, si è arrivati a toccare temi che vanno al di là dell’involucro della persona, andando a pizzicare le corde più profonde dell’animo.
Tra lacrime e sorrisi, battute e provocazioni è stato un susseguirsi di domande, proposte, riflessioni e interpretazioni molto soggettive e personali.
Un “Concerto per donne” – presenti in prevalenza – determinate ad esprimere la propria femminilità e la propria personalità, anche attraverso la cura del proprio aspetto estetico.
“Noi siamo abituate a chiedere, perché costrette a doverlo fare. Ma ci siamo abituate a farlo per le cose necessarie per vivere. Dobbiamo imparare a chiedere per essere più belle”!
“Non è umiliazione chiedere aiuto per truccarsi”.
“Se ci vogliamo bene, bisogna chiedere aiuto. Abbiamo imparato a chiedere aiuto per andare in bagno, per vestirci. Impariamo a chiederlo anche per essere più carine”.
“Io sono dall’altra parte, sono una volontaria. Posso truccarmi ogni volta che voglio. Credetemi, fa molto più piacere sentirsi chiedere “per piacere mi trucchi che voglio essere carina?” Piuttosto che vedere una persona che vuole farlo ma non te lo chiede”.
“Non sempre hai vicino dei volontari. Spesso hai degli assistenti, che hanno fretta e il tempo contato. Di certo non chiedo a loro di truccarmi il viso. Io però riesco a curarmi le mani e ci tengo tantissimo. Avere mani curate, soprattutto le unghie, mi da sicurezza e mi piace. Mi fa star bene con me stessa e mi da un tocco di personalità”.
Questi sono solo alcuni dei brani che hanno caratterizzato il concerto.
Chi l’ha diretto, dimostrandosi non solo un maestro di immagine, ma di grande umanità, ci ha lasciato con proposte concrete: tornare con un team di truccatori in occasione della prossima assemblea nazionale per truccare tutte quante lo desiderino; insegnare ad assistenti e volontari come truccare presso il suo studio a Milano; rendersi testimonial.
Ma, soprattutto, ci ha lasciati con questa affermazione: “Voglio andare a casa con l’idea che avervi messo un po’ di ombretto sugli occhi, abbia significato soprattutto avervi mosso un pizzichino di voglia di reagire. Reagire ad una condizione sicuramente difficile, ma così futile… per tutti… anche per chi sta bene e ride… o fa finta di ridere… Reagire regalandosi, o facendosi regalare da chi è felice di farlo, un pizzico di gioia. E gioia è anche vedersi un po’ migliori”.
Vorrei fosse così semplice come dirlo
Diego Dalla Palma
Accettare la propria identità, a volte, in certe situazioni, come quella della malattia, o della disabilità, o ancora, della malattia che porta alla disabilità non è facile. Non potrebbe esserlo per nessuno al mondo. Ma, è indispensabile capire che, indipendentemente dai propri problemi, accettare se stessi, è il punto di partenza per farsi accettare dagli altri. Lo è per chiunque, anche per chi non ha disagi di sorta.
Il lavoro da eseguire per arrivare a questo risultato è frutto di un percorso sofferto e difficile e, per essere sempre certi di non perdere mai di vista tale obiettivo, è fondamentale porsi con costanza la seguente domanda: “se non mi accetto io per primo, come potranno farlo gli altri?”
Il passaggio successivo è fare quanto possibile per curare la propria immagine e l’aspetto fisico. Trovare la maniera, ognuno a proprio modo e ognuno con i propri mezzi, per migliorarsi e piacersi, è il risultato che fa scaturire tale accettazione.
Questi due aspetti: l’accettazione di sé e la cura dell’estetica interagiscono tra loro, e si compensano, per congiungersi in un unico punto di riferimento. L’obiettivo comune è aumentare il livello di autostima.
Dopo essermi reso conto, personalmente, delle difficoltà pratiche da superare, ho capito e cercato di trasmettere quanto sia importante, se non si riuscisse a pettinarsi e truccarsi direttamente, fare in modo che ci sia qualcun altro che possa arrivare in aiuto a chi è in difficoltà.
In svariate occasioni, ho avuto dei contatti con uomini o donne sofferenti per diverse cause, per interesse diretto e personale (che qui sarebbe lungo spiegare), o perché coinvolto da terzi. Mi sono sentito partecipe dei problemi che mi circondano e ho fatto quanto mi è stato possibile per avvicinarmi, cercando di non considerarli come facenti parte di un universo a sé stante ma di vivere il più possibile normalmente e naturalmente (anche se, a volte, con molta sofferenza) queste esperienza.
Detto questo, vorrei fosse così semplice come dirlo. Maturare livelli di autostima più saldi è indispensabile anche per riuscire a lottare contro il tempo, contro l’attesa e contro la rabbia di chi è impotente nei confronti di malattie importanti per le quali ancora non c’è rimedio pratico. Il rimedio risiede per ora nel trovare una forza interiore che permetta di vivere e superare la quotidianità per quanto beffarda e cattiva.
Aumentare la propria autostima, in questo caso, significa trovare, ad ogni costo, un diverso rapporto con la propria fisicità e il proprio aspetto fisico. E’ la strada da percorrere per rivalutare le proprie caratteristiche estetiche, per rimettere in discussione il proprio concetto di “bello” o “brutto” e migliorarlo. In questo caso, la cura di sé va letta ed interpretata anche come cura del “Sé”.