Sullo stesso pianeta
di Virginia Del Re
(Presidente dell’Associazione ‘Casa della donna’ di Pisa)
Il tema dell’incontro che Massima Baldocchi (avvocata volontaria dell’Associazione ‘Casa della donna’ di Pisa) e io siamo state invitate a coordinare era “Ruoli imposti e ruoli negati”.
Devo cominciare col dire che entrambe eravamo consapevoli della complessità degli argomenti proposti e di non essere abbastanza competenti ad affrontarli nella loro specificità teorica, e ancor meno in quella concreta, esperienziale. Una breve conversazione preliminare con Gaia Valmarin (componente del Coordinamento del Gruppo donne UILDM) ci ha aperto prospettive importanti e insieme ci ha confermato in quella convinzione. Come avevo già rilevato in occasione di un’intervista con Simona Lancioni [“Pari opportunità, femminismo e disabilità” testo consultabile alla pagina: www.uildm.org/gruppodonne, N.d.R.], c’è nella società come una cortina che rende in qualche modo invisibili le persone disabili al pensiero quotidiano delle persone che possono usare il loro corpo senza troppa difficoltà. Le persone descritte dal gruppo, in modo così amichevole (?) e ironico, come ‘i camminanti’. Non è esclusione attiva, è piuttosto separatezza, come un vivere su pianeti diversi. La nostra associazione si occupa a tempo pieno dei diritti delle donne, della loro difesa e della loro piena realizzazione, attraverso il suo Centro antiviolenza, e attraverso la promozione della cultura di genere, con attività di documentazione, sensibilizzazione, dibattito, con la lotta alle discriminazioni e con la collaborazione in rete con altri centri e associazioni affini. Eppure, c’è voluta la mostra ‘Estetica e disabilità’ organizzata nel 2007, presso la nostra sede, da Informare un’H di Peccioli (Pisa) [centro di documentazione sulla disabilità promosso congiuntamente dalla UILDM Sezione di Pisa e dall’Amministrazione locale, N.d.R], per metterci in contatto con un importante aspetto della vita delle donne, un universo intero, in certo modo alternativo, e tuttavia sempre presente, sempre contiguo: ognuna di noi sa bene che la vita non dà garanzie a nessuno e che il nostro corpo è sempre esposto a vicissitudini impreviste.
Dunque, quando è iniziato l’incontro a Lignano, avevamo alcuni punti di discussione da proporre, e soprattutto molte domande. Per questo ci siamo messe nella disposizione d’animo di chi ha tutto da imparare da chi gli sta davanti. Abbiamo cominciato col disporci tutte in circolo, e questo ha sicuramente aiutato a creare un’atmosfera amichevole, senza distinzione di ruoli tra noi. E di ruoli abbiamo subito parlato: da una parte i molti ruoli della donna, imposti e/o attesi, in astratto, dalla ‘norma’ – o dallo stereotipo – sociale, e dall’altra i ruoli negati e/o imposti in concreto alla donna disabile, per la quale il corpo – così importante per tutto il pensiero femminista – si fa presenza prepotente, tirannica. Ruoli e diritti: la maternità, la sessualità, l’affettività e l’espressione di sé, la cura della propria immagine, la convivenza (im)possibile con le capacità e i talenti reali da una parte e i limiti dall’altra, il lavoro e i ruoli sociali e professionali. Desideri reali, forti e desideri ‘indotti’, ma non per questo meno forti. Mi è sembrata particolarmente importante l’osservazione di Gaia Valmarin: la negazione dei ruoli avviene soprattutto in termini di negazione dell’aspettativa, di furto della ‘speranza’. Spesso in famiglia (e molto presto), o a scuola, l’attesa del ruolo di amante, di madre è negata sin dalla radice alla bambina, all’adolescente. Non solo viene trasmesso una specie di divieto di sognare in termini di modelli ‘normali’, ma non vengono incoraggiate speranze di vie diverse. Gaia ricorda, a ragione, che la genitorialità, per esempio, ha molte forme, non soltanto quella genetica; e Anna parla delle adozioni negate a causa della disabilità dei richiedenti. Troppo spesso, in compenso, il vuoto del ruolo negato viene riempito dal ruolo della disabilità, della malattia e della non-autonomia. Tutto questo è stato detto nel gruppo parlando di esperienze reali, concrete, partendo da sé, nel qui e ora. Non sono venute fuori recriminazioni, ‘lagnanze’: il dolore, le limitazioni erano lì, lampanti, e accettate. Le difficoltà raccontate erano di ostacoli reali da sormontare, di battaglie personali, non ‘generiche’, non astratte. Ma questa è battaglia politica vera, dove il diritto di una è il diritto di tutte. Ci siamo trovate impegnate e coinvolte in un gruppo di donne stupende, lucide, combattive, disposte a mettersi in gioco, a esprimere e condividere emozioni ed esigenze private, profonde. Nunzia, Anna, Gaia e le altre, donne forti, straordinarie, tutte. E la modalità della discussione è stata proprio la modalità del femminismo: partire da sé per raggiungere tutte/tutti. Massima scriverà le sue impressioni, io per parte mia posso raccontare di un’esperienza forte e arricchente: non ho mai pensato alla diversità in termini comparativi, ma lo scambio – perché mi sembra che scambio vero ci sia stato – mi ha portato a vergognarmi delle mie inibizioni, del mio – spesso cattivo – rapporto col mio corpo e con me stessa.
Nel corso dell’incontro sono venuti fuori anche altri temi importanti, come il tema della violenza, un’espressione della voglia di dominio, particolarmente odiosa quando tocca un/a disabile, e ho sentito che invece è fenomeno molto frequente, e insieme molto sommerso, ‘invisibile’. A chi si rivolgono queste persone vittime di violenza, sanno dei centri antiviolenza sparsi in tutta Italia?
E il tema del ruolo dell’assistente della persona disabile, un rapporto molto stretto e molto complesso, in equilibrio acrobatico tra amicizia personale e atteggiamento ‘professionale’, tra rispetto dell’autonomia e delle scelte della persona assistita e ‘autoritarismo’ medicale. Questa scuola di ‘cura autoritaria’ sembra tipica dell’Est Europa, Anna propone corsi di formazione specifici. Simona da parte sua riporta la posizione dei teorici di “Vita Indipendente” che sostengono che il rapporto assistente/datore di lavoro disabile non deve essere basato sull’amicizia. La cosa migliore sarebbe che chi assiste fosse formato/a dalla persona assistita stessa.
Cosa può fare un’associazione come la ‘Casa della donna’ in tutto questo? Noi non pensiamo abbastanza alla disabilità, il mondo tende a dividere tutto in categorie, ma le divisioni, le esclusioni spesso sono biunivoche: poche donne disabili si sono viste alla ‘Casa della donna’ in tutti questi anni, per esempio. Non c’è assolutamente nessuna critica in questo, ma è un dato. Eppure, il nucleo fondamentale delle nostre finalità sono i diritti delle donne, e – cito da ‘Daphne’, settembre 2007 — “non ci sono diritti umani che le donne disabili non rivendichino” ‘di diritto’. Allora forse possiamo modificare questa assenza, riempire questo vuoto. E penso che l’incontro di Lignano sia già un buon inizio.
Obiettivi comuni
di Massima Baldocchi
(Avvocata, volontaria dell’Associazione ‘Casa della donna’ di Pisa)
L’esperienza di incontro con le donne della UILDM è stata molto bella e interessante per molte ragioni.
In primo luogo era la prima volta che noi, appartenenti ad una associazione che si occupa di affermazione dei diritti delle donne e della valorizzazione dei saperi delle donne, ci confrontavamo con donne “disabili”, i cui problemi sono senz’altro più peculiari di quelli delle donne “abili” o “camminanti” (come ha detto Nunzia).
Discutendo dei ruoli femminili sono emerse tutte le problematiche tese all’affermazione di sé dal punto di vista non solo di donna disabile ma anche dal punto di vista femminile in senso stretto: l’affermazione di sé come persona, nella famiglia, nel lavoro nella vita sociale. Ho pensato che per una donna disabile non si tratta solo di affermazione di diritti e di valori in senso stretto ma anche di una ulteriore lotta per vincere una serie di ostacoli, talora dettati dal pregiudizio ma anche dall’amore e dall’affetto dei familiari che tendono a proteggerti e sono i primi a considerarti diversa.
Infine ho potuto comprendere anche quanta importanza abbia per una donna disabile la forza psicologica e la capacità di trovare in sé le risorse per affermare la propria volontà di vivere tutti gli aspetti della vita, studiare, cercarsi un lavoro e un ruolo sociale, vivere un amore. Ho appreso che c’è tutto un universo di cui noi non sappiamo niente e con il quale non ci siamo mai confrontate con la nostra associazione.
Penso tuttavia che, superata la soglia di ciò che rende diversa una donna abile da una donna non abile, le riflessioni sulla affermazione dei propri diritti e sulla assunzione di responsabilità, alla fine siano comuni, nel senso che gli obiettivi da raggiungere per superare diversità e discriminazioni possono e debbono essere comuni.