Parole

Comunicare qualcosa di sé

Elisabetta Gasparini

È stata una trovata veramente simpatica e nuova. Francamente trovo giusto che, a margine dei lavori assembleari più seri ci sia anche un aspetto divertente e un modo di affrontare temi nuovi e di parlarne. Ottima idea.

Al di là del fatto che tutti noi, con parametri del tutto personali ovviamente, ci prendiamo cura di noi stessi e della nostra immagine, disabili e non, trovo che iniziative come queste vengano spesso a mancare alle persone con disabilità, quasi ci fosse un’abitudine al pensare che le cose frivole non facciano parte della vita delle persone con disabilità gravi.

Prendersi cura di sé per una persona significa in qualche modo volersi bene, coccolarsi un po’, trovare un modo personale di rapportarsi con gli altri anche attraverso l’aspetto fisico, comunicare qualcosa di sé.

Per le persone con disabilità è importante come per le altre, con la differenza che non sempre vogliono tanto bene al proprio corpo. Almeno questo è quello che è successo a me e ad altre persone con cui ho parlato. Non è facilissimo seguire le mutazioni del proprio corpo, soprattutto con le malattie degenerative. Le cose cambiano tuo malgrado e le possibilità di intervento sono difficili in campo estetico quasi come in campo terapeutico. Ti dimagriscono i muscoli, ti si curvano le spalle o la schiena, viene fuori la pancia, cambi il modo di muoverti, di stare dritto, di guardare. Puoi intervenire poco anche praticamente, non ce la fai a pettinarti, a sorridere come vorresti. A fare un gesto con un certo charme. Tutto è goffo. Anche vestirsi bene alle volte lo è. Almeno io mi sentirei fuori posto se mi dovessi mettere, faccio per dire, un vestito da sera o delle scarpe eleganti con l’andatura dondolante che ho.

Per questo dico che l’iniziativa di Milano, se pur in piccolo è lodevole, divertente e… parliamone insomma!

Il mio costume sardo

Simona Lancioni

Più ci penso, più scopro quanto sia difficile definire la bellezza. La riconosco facilmente. So dire senza indugi cosa mi piace o cosa no. Eppure non so spiegare. Ci sono cose che si sentono ma non si spiegano. Suppongo che la bellezza sia una di queste.
Provo a passare in rassegna i volti delle persone che più mi piacciono sperando di trovare un comune denominatore e capisco che non c’è, o meglio che, ammesso che ci sia, non riguarda le caratteristiche fisiche dei volti ma le qualità delle persone. Trovo infinitamente belle le persone spontanee, espressive, concrete e che sanno scherzare. Forse è per questo che la mia idea di bellezza non trova particolari difficoltà ad includere anche volti di persone disabili. La bellezza ha miliardi di volti che non c’entrano nulla con la perfezione corporea.

Sono nata e vissuta in Sardegna fino alla maggiore età. La zia che mi ha cresciuto indossava il costume sardo. I costumi sardi cambiano da paese a paese. Il suo si componeva di una gonna lunga fino ai piedi (sa fardetta); un grembiule lungo quanto la gonna (s’antalena); una camicia (sa camisa) rigorosamente bianca, fatta a mano, col collo stondato e i polsini arricciati (is pulaniasa), entrambi rifiniti in pizzo; su di essa faceva bella mostra una sciarpina di tulle, o di pizzo, (su pannu e pettu) incrociata sul seno e fermata in basso dalla gonna, o dal grembiule, e al centro dell’incrocio da una spilla; il tutto era completato da una giacca corta, attillata e avvitata (su gippone) aperta sul davanti per valorizzare la camicia. Sulla testa un fazzoletto (su panisceddu) incrociato sotto il mento. Da quando aveva undici-dodici anni a più di ottanta (quando è morta), il suo vestire è stato questo. Cambiavano le stoffe – più leggere o più pesanti in base alle stagioni -, cambiavano le sfumature – però sempre scure -, non cambiava l’insieme dai toni severi che partivano dal vestito per estendersi, senza soluzione di continuità, nei modi di poche parole, rare carezze e molti rosari. Se questa è la filosofia che ti viene insegnata, caratterizzarti attraverso l’estetica è l’ultima cosa che ti viene in mente. Infatti: maglioni, magliette e pantaloni sono stati a lungo per me quasi una divisa – il mio costume sardo – che copriva, che nascondeva, che rendeva anonimi. Cosa? A chi? Perché? Nessuno lo sa!

Oggi il mio atteggiamento davanti all’estetica è molto meno distratto. Sto più attenta all’alimentazione e a cosa indosso. Non vesto elegante, ma scelgo cose in tinta con la mia personalità. Penso che i toni severi non siano molto salutari e guardo alle frivolezze con curiosità divertita.

Un valore aggiunto

Katia Pietra

Prendersi cura di sé implica provvedere al proprio corpo con scelte autonome, a volte in conflitto con gusti, disponibilità e capacità di chi ci aiuta. A volte esiste un vero e proprio implicito, cosciente o incosciente, esercizio di veto o di imposizione del gusto dell’assistente.
Altre volte l’impegno di tempo e di “fatica” per la cura dell’ordinaria quotidianità (vestirsi, lavarsi…) porta a considerare secondario e non vitale il trucco come valore aggiunto. Non viene proprio contemplato e non viene ritenuto indispensabile. Pertanto è trascurabile.

Autostima e cura di sé: complici nel gioco del piacersi

Marina Voudouri

Se è importante per una persona disabile sentirsi curata, sentirsi bella? La risposta è la stessa che si darebbe alla stessa domanda senza la parola “disabile”.

Sì, è molto importante. La bellezza non è una cosa obbiettiva. Ognuno di noi ha un concetto personale e soggettivo di bellezza, sia essa fisica sia essa interiore.  Credere in sé stessi e avere un’autostima elevata (cosa per niente facile!), aiuta a sentirsi belli.  Anche se l’autostima dipende pochissimo dall’apparenza (la quale spesso inganna, come si dice!), sentirsi fisicamente curati può aiutarla. E viceversa.

Come tutto nella vita, l’autostima alta o bassa e il fisico più o meno curato, possono cambiare da un periodo all’altro, anche da un momento all’altro. Possono dipendere dall’umore, da cosa ci sta accadendo, dalla luna, dal sole o semplicemente dalla giornata storta o meravigliosa! A chi non è capitato di prendersi cura di sé stesso in un periodo e trascurarsi in un altro, anche solo semplicemente perché passa un momento di tranquillità?

Quest’anno – e mi dispiace davvero! – non ho potuto partecipare all’incontro del Gruppo Donne e – mi dispiace altrettanto – sono riuscita a partecipare pochissimo alla preparazione di questo incontro. Ma mi pare di capire che il pomeriggio del “Trucco e Paruccho” è stato uno dei momenti più divertenti dell’Assemblea nazionale a Milano. Forse uno di quei momenti che giova all’autostima e magari inaugura uno di quei periodi belli – belli, senza nessun motivo particolare, così!

E tra l’altro, quale poteva essere un argomento migliore nella città della moda?!

Pronta per le lezioni di trucco

Annalisa Cellana

Non sapevo nemmeno chi fosse Diego Dalla Palma e non uso truccarmi, per pigrizia lo so. Sono completamente fuori da questo mondo.

Comunque dopo quella giornata per me interessantissima, mi sono messa a riflettere. Ho cominciato a mettere la riga nera all’interno dell’occhio e sarei contenta se realmente riuscissi ad imparare qualcosa, come è stato ventilato durante l’incontro, per truccare la mia amica che ha difficoltà a farlo.

Curare la propria immagine rassicura. Se sei giù di corda un po’ di colore ti dà una marcia in più. È come quando ti prede la malinconia e sei in casa da solo: esci o chiami qualcuno. Muti la situazione e ti senti meglio.

Volontà di integrarsi

Silvia Pistillo

Ritengo che curare il proprio aspetto sia importante tanto per i non disabili quanto per i disabili. Piacersi e piacere è qualcosa che risulta gratificante, tanto agli occhi degli altri, quanto al proprio equilibrio psicofisico, ragion per cui la cura di sé stessi è un evidente stimolo alla volontà di integrarsi, di piacere e di valorizzare al massimo tutte le proprie qualità. Per questo sono dell’avviso che sia sbagliato abbandonarsi ed essere trasandati proprio quando si vive la sventura di essere colpiti da questa malattia.

Prendersi cura di sé vuol dire dare vitalità al proprio corpo, potenziare al massimo le qualità che, chi più chi meno, abbiamo tutti. Una bella presenza stimola anche maggiormente l’incontro tra persone e questo è un aspetto che non va assolutamente sottovalutato.

Attente alle false speranze

Gaia Valmarin

“Non ti devi fare false speranze”, questa frase è ricorrente nella vita di una donna disabile. Possono essere le persone più care a farle questa raccomandazione per proteggerla dalle delusioni, o è lei stessa a cercare di convincersene, quando ormai le illusioni se le è già fatte e il buonsenso, “paracadute” indispensabile per ogni donna disabile, non è entrato in azione.

Speranze false e illusorie quali possono essere? Non solo quelle di crearsi una famiglia, quelle di realizzarsi nel lavoro in modo proporzionale alle proprie potenzialità, o quelle di credere che nella vita tutto finisce bene come nelle favole; anche altre potrebbero essere, ad esempio che un bel vestito colorato e vaporoso possa mascherare una colonna vertebrale contorta e deforme, che un bel taglio di capelli possa slanciare una testa ciondolante e incassata tra le spalle, o che un tocco di ombretto possa ravvivare uno sguardo troppo malinconico.

Speranze irrealizzabili quelle che fanno convincere una ragazzina “diversamente abile” che le sue coetanee la percepiranno come una di loro perché indossa la minigonna o si tinge i capelli di rosa fucsia, o che un’elegante signora possa essere stimata e affascinante in qualsiasi ambiente, pur essendo in carrozzina.

Niente può essere più illusorio, ma anche tragicamente veritiero di uno specchio che riflette un’immagine. Chi vedi li davanti a te inserita in una cornice di legno, può essere la figura di una donna carina e contenta di sé o quella di una persona patetica che tenta agghindandosi di negare la realtà del deficit che non si può cancellare. La magia che fa vincere una delle due immagini sull’altra, non è scaturita certamente dalla quantità di “belletti” che si usano o dagli sforzi disumani di piacere agli altri e far credere quindi di piacere anche a se stessi. Forse qualcosa cambia nel momento che si accettano le proprie debolezze, le proprie mancanze e le tangibili imperfezioni. Quando la vergogna per un corpo diverso e deforme, viene accettata come una parte del proprio carattere e che, non si può negare la propria differenza e la propria debolezza al confronto delle altre donne, è qua che avviene la magia! “È vero mi mancano tante cose e nulla mi renderà bella come le altre ma io come posso rendere bello agli altri stare con me”? Sembrerà che queste considerazioni ci stanno portando fuori tema eppure una persona che riesce a spostare il centro del proprio interesse da se stessa al benessere degli altri provoca intorno a sé un effetto a catena di gioia e di condivisione. Un sorriso fatto con affetto e calore sarà sempre il più bello, sia che venga esaltato o no da un rossetto luccicante o da denti perfetti.

Ci veniva chiesto cosa si provava a farsi aiutare da altre donne a vestirsi, lavarsi, pettinarsi, ebbene è una necessità e può essere anche mortificante, ma non scordiamoci che c’è chi è abbandonato per giorni a letto e non ha nessuno neanche per farsi girare, di conseguenza dobbiamo essere grate della possibilità di avere qualcuno da tormentare per scegliere questo o quell’orecchino da abbinare a questa o quella gonna. E se poi compiamo questa faticosa operazione con le giovani, che per un anno svolgono con noi il servizio civile, ebbene anche questo può diventare un gioco divertente e una crescita formativa.

Dunque curiamoci, coccoliamoci, esaltiamo un po’ di vanità ma senza scordarci delle cose importanti come l’ascolto e la comprensione verso gli altri e soprattutto care amiche attente alle “false speranze…”.

Essere o apparire?

Gianfranco Bastianello

Essere o apparire? Cosa è meglio?

Qualche anno fa girava questo dilemma, fra normo e disabili. Penso che il sunto sia un po’ in questo assioma.

Personalmente ritengo non sia tanto importante che una persona con disabilità curi il proprio aspetto e la propria immagine, se lo stesso disabile non si è prima “accettato” nella sua dimensione. Se non vive serenamente la sua situazione, il fatto di curarsi diventerebbe un semplice trucco che vuole nascondere un problema rendendo, se possibile, meno “brutto” il proprio aspetto.

Viceversa, se il disabile vive serenamente la propria dimensione, il curarsi e truccarsi da un lato diventano una cosa spontanea, dall’altro abbelliscono ulteriormente un viso o un corpo che già sprizzano energia positiva per conto proprio.

Torniamo al dilemma: è meglio essere dunque? Certo, è la risposta corretta, a mio parere. Con tutti i pregi e difetti propri di una persona. Solo così avremmo davanti una persona reale, vera. Non dovrò fingere, se gli altri vogliono mi accetteranno per quello che sono, bello, brutto, normo o disabile, ricco o povero.

Ricordo che qualche anno fa (e qui i ricordi sono maestri nel rendere l’idea), quando per certi casi di alcuni utenti, chiamavo i vari responsabili degli enti pubblici, al telefono parlavo unicamente del caso di cui stavamo parlando, poi giocoforza, qualche volta ci si doveva incontrare, ed era divertente e paradossale vedere la loro faccia quando si trovavano di fronte una persona (io) in carrozzina. Mi guardavo bene dal dirglielo prima, perché il mio essere disabile è solo una prospettiva: un metro e venti anziché un metro e settanta. Il resto (la mia testa) funziona.

Così deve essere per il trucco o il vestiario; devono essere complemento a ciò che io sono, e non un paravento per nascondere i miei problemi.

È importante che le persone disabili curino il proprio aspetto? Beh la risposta potrebbe essere semplice: certo.  La cura di sé, del proprio aspetto nel nostro caso, può essere il motore per accettare il proprio disagio fisico; vederci più “eleganti”, più curati, ci può aiutare a superare i nostri pessimismi ed a farci iniziare un percorso di integrazione con gli altri.

Come piante fiorite

Francesca Arcadu

Ogni volta che mi guardo allo specchio vedo due occhi inflessibili che mi scrutano, attenti, pronti a cogliere il minimo difetto, concentrati a notare ogni imperfezione. In sostanza il mio rapporto con la fisicità, il mio aspetto fisico, si è sempre tradotto nel tentativo di scendere a patti con quello sguardo e fargli capire che anche quelle imperfezioni fanno parte di me, mi appartengono e mi rendono unica e speciale. E’ un percorso che dura da anni, non facile ma pieno di stimoli, di vittorie e traguardi. Con la maturità sto imparando a guardarmi col MIO sguardo, non come mi guarderebbero gli altri (ma poi chi sono mai questi altri che si permettono di giudicarci?), ad apprezzare quello che mi piace, che mi rende particolare, che parla di me con un linguaggio soltanto mio.

Ho sempre considerato naturale e divertente curare la mia immagine, fin da adolescente quando ho scoperto il magico mondo dei prodotti di bellezza. L’amore per la cura di sé, l’importanza di amarsi e regalarsi un aspetto ordinato, piacevole è un dono di mia madre, che mi ha sempre spinto ad essere curata, ad apprezzare un tocco di fard sulle guance, i capelli freschi di shampoo e ben pettinati. Non credo di essere mai uscita di casa senza dare un ultimo sguardo allo specchio, senza una spruzzata di profumo o un po’ di rossetto.

Perché tutto questo amore per l’estetica? Mi piace pensare a me, ed in generale alle persone, come delle piante fiorite. C’è bisogno di cure costanti, di attenzioni per far si che ogni singola parte della pianta possa crescere e svilupparsi in tutto il suo splendore. Se le radici sono salde, è bello e naturale che questo si rifletta nel fiore. Così come un’interiorità sviluppata, consapevole e ricca può esteriorizzarsi attraverso un aspetto curato, piacevole, che trasmetta agli altri l’amore per se stessi.

E dunque che differenza dovrebbe esserci se il corpo in questione non è perfetto, secondo i canoni di bellezza comuni? E’ importante partire da se stessi, dai propri canoni, per dimostrare agli altri che non esistono linguaggi standardizzati, almeno per quanto riguarda la bellezza, il fascino, l’amore per sé.

Per noi persone disabili è estremamente difficile tradurre tutte queste considerazioni in azioni, date le difficoltà di movimento, anche di decisione, visto che son gli altri a vestirci, lavarci e talvolta a scegliere per noi.

Per questo è necessario sviluppare un’interiorità forte, consapevole, che ci dia la forza di essere noi stessi e di considerarci unici e speciali con i difetti che ci appartengono.

Essere curati, ordinati e perché no, belli facilita l’approccio con gli altri, ma prima ancora ci permette di guardarci allo specchio e provare amore per quella piantina che faticosamente trova il suo spazio, fiorisce e si lascia guardare.

Concludo con una considerazione: in natura esistono infinite e variopinte specie animali, vegetali, non è possibile dire quale sia la più bella, ma è bello scoprire questa varietà ed apprezzare il fatto che ogni singolo essere sia parte di un insieme.

Qualcosa è cambiato

Maurizia Cecconetto

Erano diversi anni che mancavo dall’Assemblea e mi ha fatto bene ritrovarmici e rivedervi tutti. L’incontro con Diego Dalla Palma è stato molto carino, a tratti divertente. Lui mi è sembrato una persona sincera, desiderosa di interagire schiettamente con noi. Sicuramente la distanza tra il suo mondo e il nostro si è un po’ sentita in alcune sue considerazioni, forse per lui necessarie e per noi superflue, tipo la sofferenza che c’è in tutte le persone… Ma sostanzialmente ci siamo capiti.

Ne è scaturito un incontro abbastanza caldo, non formale e, per andare al nocciolo dell’argomento che trattavamo, a tratti utile. Per me anche un po’ gratificante. Ho passato un’ora a discutere con Anna, la mia amica, che presa da entusiasmo voleva farmi truccare a tutti i costi; alla fine, ultima, ho ceduto. Spero non solo alle sue insistenze ma anche a una piccola spinta mia interiore… E così ho conosciuto Moreno e ho scoperto da lui di assomigliare a… non lo dico… ma che momento simpatico e divertente…

Cosa è cambiato… Cerco di non vestire più tanto di cacchetta, grigio, begiolino, marrone e verde militare… oh no, tutti i miei colori invernali! Ma credo sia merito più dell’estate che di Diego. Non ho ancora comprato mascara e matita ma non dispero di farlo fra poco. Nell’insieme ho un occhio più attento a me e anche agli altri. Mi sono scoperta, per esempio, a osservare le persone testando le considerazioni di Diego sui colori, trovandole giuste…

Mi resta un po’ il rammarico di non essermi data da fare moooolto prima. Ripenso ai miei capelli sparati di tutta la vita, la scelta del capello corto perché più pratico… grande cavolata, basta così poco, ora lo so (peccato non aver chiesto a Diego anche un parere sul taglio). Come so che la cosa più importante è non adeguarsi a dei cliché ma scegliere come si vuole essere… Queste cose non me le ha insegnate l’incontro, ma la vita! Anche se metterle a fuoco, come è accaduto, fa sempre bene. E per fortuna le mie considerazioni valgono solo per me. Non mi sembra che le ragazze di oggi, quelle che ho visto all’incontro e quelle che conosco, ne abbiano bisogno. Sprigionano molta personalità e soprattutto, sotto questo punto di vista almeno, le vedo meno vulnerabili e molto meno influenzabili di quello che ero io. Evviva, si va avanti!

Una donna che ama la vita

Lucia Lella

Credo che prendersi cura di sé e del proprio aspetto sia un modo per volersi bene.  Ritengo importante curare il mio aspetto, il mio look. Significa rispettare me stessa e far godere della mia immagine che risulta piacevole alle persone che mi stanno intorno. Non è un bene essere ossessionati dalla cura della propria immagine, ci sono cose ben più importanti, ma essere sempre in ordine è una cosa che devo a me stessa come donna e a maggior ragione come donna disabile. Voglio venire
giudicata da chi mi vede a prescindere dalla mia disabilità e per fare questo il mio aspetto deve essere gradevole. Le mode non mi interessano ma nel momento in cui mi presento curata sto meglio con gli altri per come essi mi percepiscono: una donna che ama se stessa e quindi la vita.

Mi è capitato di entrare in un negozio magari un po’ trasandata e struccata, ad esempio appena uscita dalla palestra, e la reazione delle commesse è piuttosto imbarazzante, vagamente patetica, perché si trovavano davanti una persona “da compatire”… Non è bello ma capita in città come Bologna che è una vetrina.

Trovo che non ci sia nulla di male nel farsi aiutare da qualcuno nella cura di sé dove non si riesce a fare da sole. Farsi pettinare, truccare, diventa anche divertente. Non bisogna avere paura di chiedere aiuto. In fondo anche le donne dello spettacolo si fanno truccare e pettinare da qualcun’altro.

A volte è imbarazzante, ma se vissuta con serenità, anche la richiesta di assistenza dal proprio partner  può diventare un momento di condivisione.
Credo che non debba essere al primo posto nelle priorità quotidiane la cura estetica del proprio corpo, ma una donna deve amare sé stessa per essere amata a sua volta.

Coltivare il proprio essere

Fulvia Reggiani

E’ pensiero comune che si stia vivendo in un’epoca dove l’apparire sia più importante dell’essere pertanto i centri estetici, del benessere e termali la fanno da padrone nella cura della persona. Ci troviamo di fronte a una società che cerca la felicità attraverso lo sguardo di approvazione degli altri, cercando di apparire loro belli, atletici, giovanili.

Questo si potrebbe pensare ci porti in una situazione di svantaggio (tanto per cambiare), essendo “le persone disabili” di per sé poco piacevoli nell’aspetto (e spero che nessuno me ne voglia!). Io invece sono convinta: un cammino, non nego, difficile e impervio, che del nostro svantaggio si possa farne virtù perché nella vita, tutti lo sappiamo, la cosa più importante e ESSERE. Concetto che tutti riteniamo sia la cosa più importante ma che poi non riusciamo a perseguire seguendo invece i dettami dei media e del comune pensare.

L’incontro al quale abbiamo partecipato a Milano: “Trucco e parruco: l’estetica e la cura di sé” è stato piacevolmente “istruttivo” dal punto di vista dell’estetica personale del (appunto) “Trucco e Parrucco” delle persone, che siano esse donne, uomini disabili e non, perché ogni persona ha il dovere di volersi bene quindi di curare la propria persona sia nell’aspetto fisico che, e soprattutto, in quello psichico.

E’ emerso però il disagio di alcuni disabili che, per gli eventi negativi della loro vita hanno perso la forza e l’entusiasmo quindi anche la “frivolezza” di apparire piacevoli con un velo di trucco, un’acconciatura giovanile, un abbigliamento seducente. C’era pure chi, non riuscendo materialmente a svolgere il semplice atto di truccarsi è caduto nella trappola del “non riesco quindi non devo aver bisogno di questo”, rinunciando così alla cura del proprio aspetto. Tutti stati d’animo comprensibili e a volte difficilmente superabili ma i disabili, ne sono orgogliosa e convinta, hanno dalla loro di poter coltivare il proprio ESSERE che tutti sappiamo è molto più importante del loro apparire. Rischio, lo so, di scrivere cose risapute e fin troppo banali se non addirittura scontate ma che reputo essere “la forza” per proseguire il cammino della nostra (e parlo di tutti) vita su questa terra.

Grazie al gruppo donne che ha scelto di approfondire un argomento apparentemente superficiale ma per i partecipanti molto importante e che, puntualmente come ogni anno, intraprende per e con noi un percorso di crescita e formazione.

Libera accettazione, libera espressione

Edoardo Facchinetti

Ritengo che la persona con dei limiti fisici e psichici, abbia tutto il diritto, di essere libera nell’utilizzo del proprio corpo e della propria immagine. Per cui, anche il trucco e il parrucco, sia per una donna che per un uomo, possono e devono diventare strumenti importanti per la propria libera accettazione. Sia come immagine di sé, sia come corpo, comunque esso inteso.

Mi è spiaciuto essere arrivato in ritardo al seminario. Quel poco che ho vissuto, mi è parso interessante e condotto professionalmente. Inoltre mi è sembrato che ci si sia messi tutti in gioco con ironia, ma anche con profondità e leggerezza, senza trucchi e parrucchi eccessivamente pesanti, come sappiamo fare tutti.

Un po’ d’ombretto

Elisa Tocchet

L’esperienza del farsi truccare da un professionista, devo dire, mi è piaciuta davvero molto, consigli utili, semplici che tutte potevamo utilizzare senza difficoltà!
Diego non era propriamente preparato ad accogliere una schiera di donne con problemi così diversi da quelli che affronta lui, ma non se l’è cavata male…

Credo che sia stato uno degli incontri più riusciti, proprio perché valorizzare e migliorare noi stesse, il nostro aspetto, è un desiderio comune ed è uno degli obbiettivi della vita indipendente. Ma non solo è un dovere verso noi stesse e verso le persone che ci vogliono bene, ma un dovere verso una società che ci considera diverse, verso una visione stereotipata della bellezza, che considera desiderabile solo chi rispetta certi canoni.  Se un po’ di rossetto ed ombretto può servire a farci sorridere un po’, perché non usarlo? E soprattutto, perché non chiedere una mano quando non si riesce più a farlo? Anche questo può essere un modo per conoscerci meglio e conoscere le persone intorno a noi, non limitiamoci mai, su nulla.

Tengo a me, per questo mi curo

Mariaclaudia Cantoro

L’incontro con Diego Dalla Palma è stato utile, in quanto ha fornito a tutte noi utilissimi consigli, non solo per il trucco, ma anche per quanto riguarda l’abbigliamento, i capelli, l’abbinamento dei colori, insomma uno sguardo a tutto tondo da vero professionista.

In fondo ho sempre pensato che curarsi sia per tutti una cosa fondamentale nel rapporto con gli altri. Ad esempio, io abbino sempre il fattore “trucco’’al momento antecedente all’uscire di casa, sia per andare a fare una passeggiata, sia per una cena fuori, insomma, per qualsiasi cosa debba fare fuori dal mio ambiente domestico. Può sembrare quindi a prima vista che questo sia il mio modo per rapportarmi nel mondo esterno con gli altri, ma, a pensarci bene, è una cura che io devo a me stessa… perché il solo guardarmi allo specchio e vedermi più in ordine mi dà la sensazione di migliorare la mia persona… lo so forse può sembrare stupido, ma quel giorno a Milano dopo che quel “gentilissimo’’ truccatore mi aveva aggiustato con pochissimi attrezzi per il make-up, mi sono sentita innanzitutto più bella, quindi il solo pensiero mi rendeva felice e persino la stanchezza del viaggio in treno è parsa meno faticosa.

Credo che le nostre patologie già compromettano in gran parte il nostro aspetto estetico, se non cerchiamo di porvi riparo con qualche accorgimento è la fine, sia per il nostro aspetto, sia per il nostro umore.

Spero, che questa mia riflessione non induca nessuno a credermi superficiale, questo è solo un modo per affermare la mia voglia di vivere, di accettare la malattia senza che questa riesca a prendersi anche tutta la mia femminilità.

La cura della propria persona è un aspetto fondamentale del rapporto che si ha con se stessi, un gesto, per dirsi ogni giorno: tengo a me, per questo mi curo!

Siamo quel che appariamo

Annalisa Benedetti

Ho avuto in dono dalla natura un bel corpo e un bell’aspetto. Dicono.

È pur vero. Me ne rendo conto ora alla soglia dei trentacinque anni. Per almeno i primi ventiquattro anni, non ci ho proprio mai badato.

Poi ho conosciuto Claudio.

Gli sono piaciuta anche dentro la mia corazza fatta di jeans più larghi di due taglie, maglioni e camice più maschili che femminili.

Dopo circa tre anni ci siamo sposati. Avevo un abito decisamente da signora quel giorno, firmato Luisa Spagnoli. Molto semplice ed elegante. La parrucchiera aveva trasformato i miei quattro peli corti in testa in una pettinatura voluminosa. Il viso mi era stato truccato da un’allieva di… Dalla Palma. Persino gli occhiali erano scomparsi! Da un paio di mesi mi stavo allenando affinché riuscissi a tenere le lenti a contatto almeno una giornata. E poi, le scarpe col tacco. Non a spillo, ma alto.

Quel giorno, allo specchio, ho visto un’Annalisa molto diversa dal solito. Che mi è piaciuta.

Il fotografo era Pietro. Sì, proprio Pietro Sparaco. Nessun altro avrei scelto.

Anche nelle fotografie, che tengo gelosamente custodite in un bell’album – semplice ed elegante – è immortalata quell’Annalisa che per anni era rimasta occultata nel suo stesso guscio.

In quelle foto si vede tutta la sua bellezza.

Che cosa possono fare un bel trucco-parrucco e un bravo fotografo?

Nulla di magico. Possono farti vedere sotto altre “forme”, sotto altri punti di vista. E questo può cominciare a farti riprendere in considerazione tanti altri aspetti di te. La sostanza, quello che sei dentro, in realtà non cambia. Quella rimane. E sei solo tu che decidi come esprimerla.

Da quel giorno ho capito che forma e sostanza, in egual misura, determinano carattere e personalità di una persona. Che il prevalere dell’una sull’altra non è sintomo di frivolezza, intelligenza, superficialità, serietà. È semplicemente l’espressione di una nostra scelta. Legata prevalentemente al nostro stato d’animo.

Ogni nostra scelta in fatto di estetica, da quella di truccarsi perfettamente a quella di restare acqua e sapone, da quella di vestirsi con abiti ricercati a quella di preferire abiti comodi, è una scelta dettata dal nostro inconscio. E nemmeno la disabilità influisce sulla scelta. Può intromettersi sulla messa in atto della scelta. Ma non sulla scelta di fondo. Ecco perché sono convinta che, se lasciamo fare alla natura e al nostro istinto, siamo quello che appariamo.

Dichiarazione sicuramente discutibile, maturata infatti da un percorso molto personale, prima di tutto interiore, che, inevitabilmente, mostra man mano i propri frutti anche fuori.

In questo mio percorso Claudio ha sicuramente giocato un ruolo importante. E continua a giocarlo, anche solo per il fatto che condividiamo la vita. E finché si è vivi non si finisce mai di crescere, evolvere, cambiare, mostrando ogni volta frutti diversi.

È chiaro che ho cominciato ad aver cura del mio aspetto estetico quando ho imparato a tollerarmi ed accettarmi per come sono. E quando ho cominciato a volermi bene.

Ma mi piace pensare che il tutto abbia avuto inizio quel giorno, quando dopo essermi fatta truccare e fotografare per un giorno speciale, mi sono rivista come non avrei mai immaginato. E mi sono piaciuta.

Chissà se alla fine della giornata passata con Diego, Moreno e Pietro, per qualcuna è cominciato qualcosa di… diverso.

Non mi cambierei con nessuna

Anna Petrone

Trovo che l’incontro  con Diego Dalla Palma sia stato positivo poiché ha messo due mondi a confronto quello della disabilità e quello dello spettacolo. Se vogliamo, due realtà opposte. Il mondo dello spettacolo pone alla base di tutto l’immagine. Quello della disabilità non sempre, poiché una donna con disabilità deve fare quotidianamente i conti con difficoltà che non sempre riguardano l’aspetto esteriore. Due realtà che seppur apparentemente diverse possono avere un comune denominatore: la solitudine. Senza generalizzare, mi viene da pensare a storie di grandi nomi dello spettacolo che pur vivendo in un mondo scintillante spesso nascondono una grande sofferenza.

Nella mia vita l’immagine ha sempre contato molto poiché secondo me l’aspetto esteriore è sempre il più valido dei biglietti di presentazione. Se mi piaccio io piacerò anche agli altri. Io sono una donna con disabilità e nel corso della mia vita ho sempre avuto un buon rapporto con la mia immagine. Spesso mi guardo allo specchio e quando lo faccio non mi cambierei mai con nessuna. Nella vita, di una donna bambola ti puoi stancare. È più difficile stancarsi di una donna intelligente!

Tanto, tanto, tanto (come dice Jovanotti)

Oriana Fioccone

Domande ricorrenti, risposte inquietanti, pensieri latenti in un pomeriggio di un maggio milanese.

Perché ti trucchi?
Per sentirmi bella.
Perché vuoi sentirti bella?
Perché mi fa stare meglio.
Quando ti senti bella?
Quando me lo dicono.
E se non te lo dicono?
Mi sento una schifezza.
Perché ti senti una schifezza?
Perché non ho un corpo mozzafiato.
Perché non hai un corpo mozzafiato?
Perché è tutto storto.
Perché è tutto storto?
Perché sono malata e sono in carrozzina.
Perché sei malata?
Perché sono nata sfortunata.
Quanto vorresti non essere malata?
Tanto, tanto, tanto, tanto, tanto (come dice Jovanotti)
Perché non ti trucchi?
Perché faccio fatica.
Perché non ti trucchi?
Perché non ne ho voglia.
Perché non ti trucchi?
Perché si è spento qualcosa dentro.
Perché non ti trucchi?
Per chi dovrei farlo?
Perché non lo fai per te?
E chi se ne frega di me?
Dovresti tu essere la prima a fregarsene di te.
Perché?
Essere bella dentro per essere bella fuori, o no?
È solo una pubblicità.
Perché sei così pessimista?
Perché sono realista.
Perché vedi tutto nero?
Perché c’è solo buio.
Perché vai avanti?
Perché non ho scelta.
Perché ti sei fatta truccare?
Perché volevo provare.
Perché volevi provare?
Perché una speranza volevo trovare.
Perché una speranza volevi trovare?
Per cercare di continuare.
Quanto ti è piaciuto?
Tanto, tanto, tanto, tanto, tanto (come dice Jovanotti)

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