di Simona Lancioni
« … Io nasco per inventare sentieri
e arare solchi nuovi
giocando alla felicità sconosciuta
scommettendo tutto:
io nasco donna e basta»
Mariana Yonüsg Blanco
Cos’è un ruolo sociale, come funziona, a che serve? Come si definiscono il maschile e il femminile? Cosa si aspetta la società dalle donne? Cosa dalle donne con disabilità?
Proviamo ad affrontare queste tematiche rielaborando in prospettiva sociologica le riflessioni emerse in occasione del seminario promosso dal Gruppo donne UILDM («Ruoli imposti e ruoli negati», Lignano Sabbiadoro (Udine), 23 maggio 2008).
Il ruolo sociale
Il termine ruolo, pur essendo ampiamente utilizzato in ambito sociologico, in realtà deriva dal mondo teatrale. Infatti, anticamente, gli attori recitavano le proprie battute leggendole dal rotulus, un foglio di carta arrotolato. Assumere un ruolo significava pertanto recitare una parte attenendosi ad aspettative e regole stabilite. Per analogia il ruolo sociale indica l’insieme dei comportamenti attesi, delle aspettative e degli obblighi attribuiti ad un individuo in ragione della sua posizione sociale. Il concetto di ruolo è spesso associato a quello di status che indica, appunto, la posizione occupata dall’individuo rispetto agli altri individui della stessa società. Gli status possono essere assegnati in base caratteristiche molto diverse: l’età (ad esempio: bambino, giovane, anziano), il sesso, la salute fisica (normabile, disabile), la posizione lavorativa (ad esempio: disoccupato, lavoratore, medico, giornalista), la posizione economica, ecc. Gli status possono essere ascritti quando sono assegnati in virtù delle caratteristiche naturali dell’individuo (ad esempio: la condizione di salute fisica, l’età, il sesso), o acquisiti (ad esempio: diventare genitore, medico, abbracciare una fede religiosa). Uno stesso individuo può ricoprire contemporaneamente più status (ad esempio: essere donna, essere disabile, essere madre). Ogni status può comportare più ruoli (ad esempio: essere studente comporta un ruolo nei confronti degli insegnanti, ma anche uno nei confronti dei compagni di classe). Lo status lo si riveste, il ruolo lo si interpreta. Ogni ruolo tende ad ingenerare delle aspettative alle quali l’individuo può scegliere di uniformarsi in tutto o in parte anche in base al grado di coercizione associato alle aspettative stesse. Ad esempio: nella nostra società si accetta che un genitore possa essere più o meno severo nell’educazione dei figli, ma scattano sanzioni (anche penali) qualora la severità sfoci in abbandono, maltrattamenti o in violenza. Non corrispondere alle aspettative di ruolo – sia pure per ragioni anche molto diverse (perché non si vuole, o perché non si può) –, anche quando non si traduce in sanzione formale, è in genere fonte di tensione. L’attribuzione di ruolo e le aspettative di conformismo svolgono la funzione di rendere prevedibili i comportamenti delle persone (e dunque di facilitare la lettura dei contesti e delle situazioni), ma anche quella di controllo sociale.
La differenza sessuale nel pensiero sociologico
All’interno del pensiero sociologico la riflessione sulla differenza sessuale (sui ruoli attribuiti alle donne e agli uomini) ha ricevuto poca attenzione sino agli anni sessanta del XX secolo, dopo, grazie all’influenza esercitata dai movimenti femminili, gli studi e le ricerche su questi temi hanno iniziato a moltiplicarsi. Le diverse teorie elaborate al riguardo sono state influenzate dai differenti approcci sociologici. Ecco un accenno alle principali. Per il funzionalismo (Talcott Parsons) il sistema sociale è costituito e funziona come un grande organismo in cui tutte le parti sono interconnesse e svolgono una precisa funzione tesa a mantenere uno stato di equilibrio, o salute sociale. Pertanto la differenza dei ruoli assegnati all’uomo e alla donna viene spiegata come un’attitudine funzionale alla necessità del sistema di eseguire compiti diversi. Nella teoria del conflitto possiamo cogliere due impostazioni diverse. Una di ispirazione marxista (impostazione critica) per la quale lo sfruttamento della donna è spiegabile in termini di analisi economica. Il dominio dell’uomo sulla donna non sarebbe che la riproduzione – su scala familiare – del modello di dominio proprio del modo di produzione capitalistico. L’altra impostazione – impostazione analitica (di ispirazione weberiana) – afferma che la situazione di svantaggio della donna è spiegabile in termini di sviluppo fisico e differenze biologiche. La disuguaglianza nella distribuzione delle risorse è la conseguenza della minore forza fisica della donna e della vulnerabilità connessa al ruolo materno. La teoria dello scambio sociale (George Caspar Homans e Peter M. Blau) si focalizza sulle scelte e sulle decisioni individuali dei diversi soggetti. La discriminazioni di genere sarebbero ingenerate delle donne stesse e dalle loro scelte di vita. L’interazionismo simbolico e la fenomenologia si concentrano sui processi di costruzione dell’identità di genere. In base a questi approcci la differenziazione dei ruoli è significativamente influenzata dai processi di interazione sociale.
Tra natura e cultura
Gli studi sulla condizione femminile hanno dedicato molta attenzione allo status di donna e ad i ruoli ad esso attribuiti. Molti sforzi si sono incentrati nel tentativo di distinguere il dato biologico (l’essere di sesso femminile) dall’elemento educativo/culturale, socialmente costruito (l’appartenenza al genere femminile). In realtà il rapporto tra l’aspetto biologico e quello sociale nella definizione dell’identità (sia maschile che femminile) è, e rimane, un tema complesso e non ancora del tutto risolto. Ma se in termini strutturali e ormonali i due sessi hanno predisposizioni ben differenziate, probabilmente la rigidità e la grande distanza tra le attribuzioni di ruolo riservate alle donne e quelle riservate agli uomini può essere capita nella sua globalità solo ammettendo la rilevanza della componente sociale e culturale. Messa in questi termini la questione sembrerebbe abbastanza neutra, se non fosse per il fatto che questo sistema di attribuzione di ruoli incide pesantemente sui rapporti di potere esistenti, sulla partecipazione ai processi decisionali, sull’accesso alle risorse, ai benefici e alle informazioni. Nella sostanza il nostro sistema di ruoli finisce col cristallizzare i vantaggi e gli svantaggi assegnati in base alla posizione sociale (lo status). Essere donna, essere disabile, essere extracomunitari, avere avuto problemi di alcol o di droga – giusto per citare alcuni dei casi più eclatanti – rende generalmente più difficoltoso l’accesso ai ruoli considerati prestigiosi, e, talvolta, anche il riconoscimento dei propri diritti.
Femminile e maschile
Cosa è femminile? Cosa maschile? Chi lo stabilisce? Come accennato in precedenza, l’identità di genere è un concetto socialmente costruito. Lo dimostra il fatto che l’idea di femminilità e mascolinità varia da società a società e nelle diverse epoche storiche. Oggi, ad esempio, nella maggior parte dei Paesi occidentali portare la gonna è indice di femminilità, mentre in Scozia il kilt (un capo molto simile a una gonna) è un indumento tipicamente maschile. Possiamo anche ricordare che gli antichi romani – nostri antenati – usavano le tuniche, abiti decisamente più vicini alle gonne che ai pantaloni. Tutte queste istruzioni sul femminile e sul maschile sono impartite attraverso un processo di socializzazione incessante a cui concorrono la famiglia, la scuola, il gruppo amicale, i mass media (vecchi e nuovi), i diversi ambienti frequentati dalla persona lungo tutto l’arco della vita. Spesso queste istruzioni vengono trasmesse acriticamente contribuendo alla costruzione, alla trasmissione e al rafforzamento di stereotipi e pregiudizi, nell’ingenua convinzione di una presunta neutralità delle istruzioni stesse. A titolo esemplificativo: regalare le pentoline alla bambina e non al bambino in qualche modo perpetua lo stereotipo che debba essere la donna a curare la casa. Se questo fosse l’unico input in tal senso lo stimolo sarebbe innocuo. Ma considerando che istruzioni di questo tipo provengono costantemente da più parti (famiglia, scuola, pubblicità, stampa, TV, ecc.) l’istruzione finisce col diventare socialmente condizionante. Altro esempio: negare o inibire sul nascere le fantasie di una bambina disabile sulla costruzione di una famiglia propria – con un proprio partner e propri figli – significa suggerire che gli status di amante/partner e di madre non competano alla donna disabile. Queste istruzioni non sono neutre: orientano a priori la divisione dei ruoli, limitano gli orizzonti, circoscrivono la libertà, violano l’integrità, levano spazi di senso alla vita delle persone. Eppure tutto questo accade regolarmente, agito (anche da donne) con la persuasione (erronea) che la limitazione che ne risulta derivi dall’essere donna o dall’essere disabile, e non dall’insegnamento di chi – sia pure in buona fede – impartisce istruzioni limitanti.
Non si tratta, com’è ovvio, di contrapporre gli uomini alle donne, né di ricondurre gli uni alle altre o viceversa. Si tratta invece di acquisire che tra uomini e donne esistono differenze e similitudini che vanno accolte e rispettate. Evitando di orientare preventivamente le rispettive potenzialità. Lasciando che ognuno trovi un proprio modo per definire ed esprimere la propria identità genere. Ciò sia in assenza che in presenza di disabilità evidenti.
Emancipazione della donna e persone disabili
E’ interessante notare alcune analogie tra i percorsi dei emancipazione femminile e quelli delle persone con disabilità. Le donne si sono impegnate per distinguere tra un dato biologico e uno socialmente costruito, le persone con disabilità hanno fatto un percorso simile distinguendo tra l’avere una disabilità (dato biologico) e uno svantaggio indotto dall’impreparazione della società ad accogliere la persona disabile (elemento socialmente costruito): la rilevanza attribuita dall’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) ai fattori contestuali (ambientali e personali) nell’ICF – la Classificazione internazionale del funzionamento, della disabilità e della salute (2001) – non è che la formalizzazione di un processo in atto. Sia le donne, sia le persone con disabilità, hanno trovato nella crescita in termini di autoconsapevolezza e di autostima il terreno fertile per l’autoaffermazione, l’autogestione, l’autorappresentanza, l’autodeterminazione, il protagonismo. Lo slogan femminista «io sono mia» non è poi così distante da quello adottato dai movimenti per la vita indipendente delle persone con disabilità: «niente su di noi senza di noi». Entrambe richiamano il bisogno/diritto alla libertà e alla disposizione di sé.
Possiamo invece considerare come un elemento di debolezza la circostanza che la disabilità al femminile non abbia mai trovato particolare interesse nei movimenti delle donne, e ne abbia trovato uno decisamente pallido nei movimenti delle persone con disabilità. Certo, qualcosa sta cambiando – in Italia ci sono diversi gruppi informali che lavorano su questi temi, a livello europeo si sta cercando di costruire una rete degli organismi impegnati su questo fronte, la Convenzione internazionale delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità considera in più punti la discriminazione multipla a cui sono soggette le donne disabili -, ma dai piccoli laboratori di idee e dalla norma alle coscienze e alla prassi il cammino è lungo. In questo quadro interrogarsi sulle aspettative di ruolo nei confronti delle donne (anche di quelle con disabilità) offre ancora una volta lo spunto per riflettere sulla natura delle cose (de rerum natura): su ciò che è dato come immutabile e va accettato, accolto, integrato come parte di sé, e ciò che, in quanto costruzione sociale capace di ingenerare svantaggio, può e deve essere modificato.
Ripensando a Lignano
Cosa si aspetta dunque la nostra società dalle donne? Posti i limiti a cui sono soggette tutte le generalizzazioni, le aspettative di ruolo sembrano essere molteplici e talvolta contrastanti tra loro. Ci si aspetta che la donna sia seducente e provocante (al limite dell’ossessione: si pensi, ad esempio, all’eccezionale crescita del numero degli interventi di chirurgia estetica registrata negli ultimi anni), che si affermi nel lavoro ma anche nella famiglia (però si sorvola sull’istituzione di servizi pubblici sufficienti e idonei a rendere compatibili i due ruoli), che scelga la maternità (dando spesso per scontata la corrispondenza armonica tra “destino biologico” e percorso individuale), che abbia una particolare predisposizione alla cura (della casa, dei figli, delle persone disabili e anziane… del gatto, del cane, della piantina sul davanzale). Cosa si aspetta invece la nostra società dalla donna disabile? Che non possa essere né seducente, né provocante – spiegava una donna disabile intervenuta al seminario promosso dal Gruppo donne UILDM: “le altre donne sono tranquille con me perché mi considerano innocua, non in grado di competere con loro” –, che non possa adeguatamente svolgere il ruolo di partner nella coppia e dunque non sappia/possa crearsi una famiglia propria – sono state diverse le testimonianze di donne disabili non accettate dalla famiglia dei rispettivi compagni/fidanzati/mariti in ragione della propria disabilità -, che non sia in grado di prendersi cura – raccontava una donna disabile: “la casa la gestisco io con l’aiuto di una collaboratrice, io stabilisco cosa fare, ma c’è sempre qualcuno che si complimenta col mio compagno per l’ordine che regna in casa nostra”, che debba essere gestita – “io ci provo a dire come voglio che sistemino il telo del sollevatore, ma l’operatrice tende a fare di testa sua, come le hanno insegnato nei corsi di formazione”. La sensazione è dunque che nei confronti della donna la definizione dei ruoli richiami i modelli del genere femminile (che includono comportamenti, doveri, responsabilità e aspettative stereotipati/e), mentre nei confronti della donna disabile lo status di donna passi in secondo piano rispetto a quello di persona con disabilità, e che, in quest’ultimo caso, le aspettative di ruolo attingano ai modelli – anche questi stereotipati, e spesso farciti di pregiudizio – della disabilità.
Inventare sentieri
Il seminario «Ruoli imposti e ruoli negati» ha visto congiuntamente coinvolti il Gruppo donne UILDM e l’Associazione Casa della donna di Pisa. E’ molto importante e significativo che le donne – tutte le donne, senza aggettivi, le donne e basta – creino occasioni di incontro e confronto. Se talvolta sono state distanti, divise, competitive o indifferenti probabilmente è davvero necessario cambiare strada, magari inventando sentieri e arando solchi nuovi, assumendosi la responsabilità di disattendere i ruoli, se non proprio imposti, fortemente caldeggiati dalla società ma vissuti dalla donna come eccessivamente costrittivi (ad esempio quelli dell’ossessiva ricerca della perfezione corporea, o della seduzione a tutti i costi), e di rivendicare i ruoli ancora socialmente negati ma percepiti in armonia con la propria idea di sé (ad esempio far prevalere la propria femminilità e la propria personalità rispetto alla disabilità).
Tornate a casa dopo l’incontro, nella casella di posta elettronica del Gruppo donne abbiamo trovato una richiesta di aiuto in merito a un caso di violenza sessuale ai danni di una donna disabile. Il nostro Gruppo non era in grado di farvi fronte, la Casa della donna sì. E’ bastato alzare la cornetta per trovare risposte, competenza e solidarietà. Il senso dell’incontro di Lignano diventava tangibile.
Bibliografia e siti internet
Forniamo di seguito poche indicazioni bibliografiche e qualche sito internet per chi volesse approfondire i temi trattati nei paragrafi precedenti. Infine segnaliamo tre siti nei quali la questione di genere è affrontata dal punto di vista maschile.
- Consulenza alla pari. Da vittime della storia a protagonisti della vita, Lamezia Terme, Comunità edizioni, 2006
- Elena Gianini Belotti, Dalla parte delle bambine, Milano, Feltrinelli, 1973
- Anthony Giddens, Genere e sessualità, in Anthony Giddens, Sociologia, trad. di Massimo Baldini, Bologna, Mulino, ©1991, p. 155-200
- Anthony Giddens, Stratificazione e struttura di classe, in Anthony Giddens, Sociologia, trad. di Massimo Baldini, Bologna, Mulino, ©1991, p. 203-236 (si veda in specifico il quarto paragrafo: Genere e stratificazione, p. 222-226)
- Loredana Lipperini, Ancora dalla parte delle bambine, Milano, Feltrinelli, 2007
- Birgitta Nedelmann, Ruoli maschili e femminili, in Enciclopedia delle scienze sociali, Roma, Istituto della enciclopedia italiana fondata da Giovanni Treccani, ©1997, vol. VII, p. 530-542
- Simonetta Piccone Stella (a cura di), Chiara Saraceno (a cura di), Genere. La costruzione sociale del maschile e del femminile, Bologna, Mulino, 1996
- Una possibile autonomia: itinerari di donne con disabilità tra empowerment e advocacy, Soveria Mannelli (Catanzaro), Rubbettino editore, ©2003
- Presidenza del Consiglio dei ministri. Dipartimento per gli affari sociali, Un volto o una maschera? I percorsi di costruzione dell’identità, Rapporto 1997 sulla condizione dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia, Firenze, Istituto degli innocenti, 1997, consultabile anche alla pagina: http://www.minori.it/pubblicazioni/rapporti/indice97.htm
- Ian Robertson, L’interazione sociale nella vita quotidiana, in Ian Robertson, Sociologia, ed. italiana a cura di Marcello Dei, Bologna, Zanichelli, ©1988, p. 133-153
- Ian Robertson, Sesso, età e disuguaglianze, in Ian Robertson, Sociologia, ed. italiana a cura di Marcello Dei, Bologna, Zanichelli, ©1988, p. 331-368
- Elisabetta Ruspini, Le identità di genere, Roma, Carocci editore, 2003
Associazione per una
Libera Università delle Donne |
www.universitadelledonne.it |
Italia donna | www.italiadonna.it |
Rete informativa Lilith | www.retelilith.it |
Maschile plurale | www.maschileplurale.it |
Maschio per obbligo | www.maschioperobbligo.it |
Uomini in cammino | web.tiscali.it/uominincammino |