Alcune riflessioni

Da te non me lo sarei mai aspettato!

di Oriana Fioccone

Questa è la frase che ho ricevuto da un mio collega l’altro giorno dopo aver pronunciato una considerazione (in effetti un po’ “carognetta”, lo confesso) nei confronti di un altro mio collega; a questo punto gli ho chiesto: “Cosa ti aspetti da me?”

E lui, un po’ titubante: “Mah, non so, ti immaginavo diversa, più… più…”

Al che io ho domandato: “Più innocente? Più buona? Più… angelica?”

“Ecco sì, proprio così… più angelica!” ha concluso.

Io ho ribattuto: “Allora non mi conosci bene.”

Ci risiamo… noi disabili siamo visti, o meglio dobbiamo comportarci da angeli, perché questo è quanto ci si aspetta da noi.

Ci si aspetta, ma noi dobbiamo adeguarci a quanto ci si aspetta?

L’incontro organizzato dal Gruppo donne della UILDM, durante l’ultima Assemblea, si intitolava “Ruoli imposti e ruoli negati”, l’argomento del seminario combacia a pennello con quanto mi è successo, quindi mi sono frullate in testa delle domande: bisogna accettare quanto ci viene imposto? Ma, sostanzialmente, che cosa ci viene imposto? E, di conseguenza, che cosa ci viene negato?

A qualcuno sembreranno domande scontate ed inutili: viene imposto e negato tutto quanto esce dai binari della “normalità”.

I “normali” conducono un’esistenza “normale”, hanno un lavoro “normale”, amano in modo “normale”, si formano una famiglia “normale”, hanno dei figli “normali”.

E tutti quelli che, volontariamente od involontariamente, “deragliano” da questi “normali” binari? Quelli che, per un motivo o per l’altro, vengono considerati “diversi”?

Devono limitarsi a guardare e non cercare di entrare nel magico mondo “normale”?

Se dobbiamo essere concreti e guardare la realtà, molte cose sono cambiate negli ultimi anni, oggi ci sono stati riconosciuti molti diritti, soprattutto nel campo dello studio e del lavoro. Una legge fondamentale, ad esempio, è la legge 104, che risale al 1992, ben (o solo, a seconda dei punti di vista) 16 anni fa. Ma ci sono ancora altri ambiti che rimangono preclusi, in cui nessuna legge può garantirci qualche diritto. Uno di questi è quello dell’affettività e della sessualità che non sembra riguardare i disabili: sì, a parole tanto ci viene concesso, ma nei fatti quante sono le persone che hanno il coraggio (e sottolineo il coraggio) di legarsi ad una persona “diversa”?

Non venite a parlarmi della bellezza interiore, perché, in questo mondo affascinato e abbagliato dall’esteriorità, pochissimi sanno e, soprattutto, vogliono cercare e trovare i pregi e, naturalmente, i difetti che rendono ogni essere, “normale” o “diverso”, veramente Speciale.

Gran parte delle persone che leggeranno questo testo, lo troveranno all’interno della dispensa prodotta dal Gruppo donne oppure nel sito dell’UILDM, forse, penseranno: “Ma cosa dice questa? Sono cose scontate!”

Proprio questo è un mio timore: noi, tra di noi, all’interno dei nostri gruppi, ce le diciamo queste cose, condividiamo questi pensieri, ci sembra tutto più facile, più logico, più scontato, ma all’esterno cosa esce, cosa passa?

Non corriamo il rischio di “suonarcela e cantarcela” da soli?

Un pericolo nel quale potremmo incorrere non potrebbe essere quello di vedere come “diversi” gli appartenenti ai gruppi di “diversi”? Di creare tante piccole comunità chiuse verso le intrusioni esterne?

Probabilmente, se noi spiegassimo meglio i nostri desideri, i nostri bisogni, le nostre difficoltà, scopriremmo di avere tanti punti in comune e questo confronto sarebbe un arricchimento reciproco. Forse aprendoci prima di tutto tra noi “diversi”, riusciremmo ad avere una forza ed un’eco maggiori che ci consentirebbero di raggiungere traguardi comuni e di conquistare vittorie importanti, impiegando un tempo minore, perché quello che tutti, in fondo, chiediamo è di poter manifestare liberamente i nostri sentimenti, senza costrizioni o giudizi inibitori.

L’altro giorno un bimbo di due anni mi guardava incuriosito, mia nipote, di sei anni, non capiva perché lui mi guardasse, io le ho spiegato che per lui ero una cosa nuova, un po’ strana e lei mi ha chiesto: “Perché?”

Ecco, quando arriveremo al punto che non verremo più viste come persone strane, “diverse”, significherà che tra di noi non esisteranno più differenze e che saremo tutti Normali, senza virgolette e con la lettera maiuscola.

Non esiste un modo di essere donna

di Francesca Arcadu

La riflessione sui ruoli imposti e quelli negati, alle donne in generale e quelle disabili in particolare, mi accompagna da sempre. La mia famiglia quando sono nata desiderava ardentemente un maschio, negli anni ’70 il sesso del nascituro era un terno al lotto e ZAC… è nata una femmina… disabile!!

Per esperienza credo che nonostante l’evoluzione della cultura e dei costumi, in Italia sia ancora fortissima la necessità di ricondurre le persone a dei ruoli predefiniti, è più comodo e rassicurante, come ci siamo dette negli anni passati a proposito degli stereotipi.

Nel caso delle donne con disabilità, però, avviene un distacco fortissimo dall’immagine preconfezionata della donna-madre, possibilmente avvenente, capace di gestire le situazioni familiari e, negli ultimi decenni, desiderosa di affermare se stessa con un buon lavoro. Si tende ad escludere la prospettiva sentimentale-affettivo-sessuale-riproduttiva per bilanciare il tutto con l’esasperazione del lato intellettuale, dello studio e della ricerca della propria affermazione come donna “di testa”, piuttosto che donna a tutto tondo.

La mia famiglia, per fortuna, ha sempre visto in me una figlia da “invogliare” ad essere una bambina e ragazza che cercasse la propria individualità, ciò mi ha permesso di vivere la mia fisicità e femminilità con naturalezza, imparando ad apprezzarmi non solo negli studi, ma anche come soggetto/oggetto di relazione in quanto persona, prima di ogni altra cosa.

Ancora oggi, tuttavia, è evidente lo sconcerto, quasi un moto di stupore che coglie i più, di fronte a tanti esempi di donne con disabilità che sono uscite fuori dai binari della negazione, che hanno espresso se stesse seguendo le proprie inclinazioni, amando il proprio corpo e rendendolo protagonista della espressione di sé insieme al cervello, senza censurarlo in nome di una presunta ricerca della perfezione.

Io credo che in questo senso le donne, disabili e non, siano accomunate nel bisogno di riappropriarsi del proprio modo di essere, di scegliere chi e come essere senza dover aderire a modelli predefiniti di bellezza o managerialità esasperata, che in realtà non esistono o appartengono ad una esigua percentuale di esse.

La donna disabile, come tutte le altre donne, deve riappropriarsi della possibilità di scegliere il proprio percorso, senza dover dimostrare continuamente di essere all’altezza di ciò che ci si aspetta da lei, perché anche questo è sbagliato, dover rispettare le aspettative legate ad un ruolo che, in positivo o negativo, non sentiamo nostro. Come per le altre donne la maternità può essere un istinto da assecondare (se la disabilità lo consente senza sacrificarsi) o, al contrario, un desiderio che non ci appartiene e non ci fa soffrire, senza per questo doverci sentire frustrate o colpevoli di non perpetrare la specie o, ancora peggio, di non rendere felice l’uomo che ci sta accanto.

Come per le altre donne occorre conquistare il diritto ad essere se stesse senza giustificazioni, liberandosi dagli schemi per trovare un proprio modo di essere donna. In questo senso può essere utile ricondurre le specificità delle donne con disabilità all’interno del percorso femminile, proprio a significare che gli obiettivi sono comuni.

Più pazienza, più coraggio, più determinazione…

di Gianna Foschi

Nel richiedere ai componenti del Gruppo donne di esprimere le proprie considerazioni sulla tematica trattata abbiamo fornito qualche quesito esemplificativo, lasciando però libere le persone di seguire o meno la traccia suggerita. Gianna ha voluto attenersi alla traccia. Rispettiamo la sua scelta e riportiamo il suo contributo di pensiero come ci è pervenuto (con le nostre domande in corsivo).

Secondo voi, in generale, si pensa che le mansioni di cura spettano ancora alle donne?

Sì, ci si aspetta che le mansioni di cura spettino esclusivamente alle donne, ed in particolare spettino alle donne economicamente meno forti  ed indipendenti, sempre più spesso straniere, ma anche italiane provenienti dai vari sud d’Italia…

In generale, ci si aspetta: che le donne con disabilità sappiano/possano svolgere ruoli di cura?

Non mi sembra, l’impressione è che non li possano svolgere. Tale impressione è legata anche ad un vecchio atteggiamento pietista nei confronti dei disabili.

In generale, ci si aspetta: che le donne, in quanto tali, siano provviste di istinto materno?

Qui siamo quasi sul comico, in quanto ci si aspetta questo dalle donne in genere, ma poi si fa in modo di ‘affossare’ questo istinto con ogni mezzo….. Io penso invece che quello comunemente detto istinto materno è presente in ognuno di noi. Si tratta dell’istinto di protezione del più debole. Vivere in una società in cui non sono permesse debolezze, ed anzi si premia un certo tipo di successo che è legato al potere in assoluto, deprime questo istinto. Una donna sola si stanca e può trattare male i propri figli, di questo comportamento suicida, nel lungo termine, ne risentirà l’intera società, ma la società si interessa del successo a brevissimo termine e quindi lascia sole le donne che diventano mamme.

Per questo tipo di società ogni figlio è disabile, cioè non lavora, non produce, al limite consuma parecchio, ed infatti molti nuovi negozi si occupano di giocattoli e vestiti per bimbi. Ma lo fanno in ottica ‘adulta’. Ad esempio, alcune ditte producono collezioni di abiti per bambini identiche a quelle per gli adulti, così la mamma che li vuole acquistare è costretta a prevedere la taglia che il proprio figlio avrà in futuro, ma, non potendo misurare il capo, rischia di comprare cose superflue. Forse però anche questo spreco di acquisti è decisamente voluto e fa comodo alle ditte.

In generale, ci si aspetta: che la donna disabile ambisca a diventare madre?

Secondo me non si pensa proprio alla sessualità di un disabile, e quindi si capisce ancor meno il fatto che una donna disabile possa diventare madre per propria scelta.

In generale, ci si aspetta: che le donne siano più sentimentali e meno razionali? E le donne disabili?

In questo siamo ugualmente considerate più sentimentali e meno razionali. Ciò è dovuto, come sempre, a vecchi stereotipi sulle donne come, ad esempio, quello sullo scarso senso dell’orientamento femminile ed altro ancora. Il lato positivo è che almeno qui l’uguaglianza già c’è.

In generale, ci si aspetta: che la disabilità sia compatibile con la femminilità?

Decisamente sì, ma io rispondo pensando alla femminilità della donna selvaggia di ‘donne che corrono coi lupi’, mentre temo che la definizione di femminilità, nell’immaginario collettivo, sia legata piuttosto alle veline.

In generale, ci si aspetta: che gli uomini provino interesse (anche erotico) per una donna disabile?

Penso che anche qui non ci sia differenza, salvo per il modello dominante di cultura patriarcale in cui la donna è bella solo se è anche abile perché deve occuparsi dei figli e dei lavori di casa. L’eros non sempre è svincolato dal resto, lo è a livello conscio, ma poi c’è l’inconscio collettivo che porta ad altre scelte.

In generale, ci si aspetta: che una donna disabile possa provare interesse (anche erotico) per un’altra donna?

Non ci si aspetta affatto che le donne possano avere interessi lesbici. Prova ne sia che il gay è uomo, ed è il solo presente nelle macchiette in tv, al teatro o al cinema. Questa cosa però potrebbe essere positiva per il futuro, chissà. Penso questo perché non ci sono in apparenza pregiudizi su come debba essere una donna lesbica. Al momento se di una cosa non se ne parla vuol dire che non esiste e basta.

In generale, ci si aspetta: dalla donna disabile le stesse cose che si aspetta dall’uomo disabile?

No, ci si aspetta sempre di più, più pazienza, più coraggio, più determinazione.

In generale, ci si aspetta: dalla persona disabile le stesse cose che si aspetta da tutte le persone?

Temo che dal disabile ci si aspetti il silenzio, ci si aspetti ancora il riserbo, la discrezione.

La società si aspetta da voi compiti e ruoli ai quali non potete o non volete corrispondere?

Sì, si aspetta un ruolo femminile dipendente al quale non mi voglio rassegnare. Mi è difficile spiegare direttamente, dovrei fare esempi, ma sarebbe troppo lungo da trattare.

Recentemente ho letto un libro bellissimo che chiarisce molto di quello che penso in maniera sintetica e chiara e, visto che è in offerta negli economici Feltrinelli, lo consiglio: si tratta de  ‘Il bambino è competente’ di J. Juul. In questo testo si parla in modo adeguato della disparità dei ruoli, quella disparità a cui istintivamente non corrispondo.

Davide e Golia

di Annalisa Benedetti

Nella pancia: è femmina! La cameretta si tinge di rosa. Il corredino è ornato di pizzi e merletti.

I giochi: bambole – dal cicciobello alla Barbie – elettrodomestici, a partire dal piccolo ferro da stiro, quando non sono intere cucine complete di “dolce forno”, stoviglie e pentole. L’ultima trovata, aspirapolvere e lavatrice in miniatura perfettamente funzionanti. Chissà se chi da piccola gioca con questi arnesi, da grande previene la sindrome della “desperate housewife”? Chissà se chi ha coccolato e accudito il bambolotto che fa tutto, mangia, beve, espelle pipì e pupù, piange, ride, ma non cresce mai, è ora una madre perfetta o una madre degenere? Oppure se di figli non ne ha voluti?

I cartoni animati: io mi ricordo Heidi, Chandy Chandy, Kiss me Lycia. Adesso vanno forti le Winx, fatine dotate di poteri magici, corpi da modella, bei ragazzi, vestitini all’ultima moda, indipendenti, libere e decise con qualche missione da compiere, ovviamente. In fondo, tutte noi sogniamo poteri magici per acquistare vestiti firmati, raggiungere una forma fisica perfetta e avere a nostro servizio il principe azzurro. E, ovviamente, tutte noi abbiamo una missione da compiere. Missione che, senza quei poteri magici, potrebbe diventare “impossible”.

Le letture: non so se Biancaneve e Cenerentola si leggono ancora alle bambine. Non so se qualcuno legge più le favole. Forse è più comodo il DVD. Non sono aggiornata.

Le riviste: Cioè, Anna, Grazia, Io donna, Donna Moderna, Chi, Diva & Donna, Donna & Diva… forse anche Divani & Divani?

La televisione: il “panem et circenses” del XXI secolo. Esistono sicuramente programmi televisivi studiati per donne e altri per uomini. Non la guardo molto. Ma mi sembra che al popolo dei telespettatori offra poco panem e molto circenses, dove le donne si esibiscono al pari degli animali da circo, seguendo copioni che le riducono a pezzi di carne da macello, agghindate e truccate fino ad insultare la propria femminilità.

Il lavoro: porte spalancate a chi si prende cura e a chi ha un bel sorriso e un bel corpo da mostrare. E via con la sfilata di badanti, educatrici, maestre, infermiere, baby sitter, colf, cameriere, operaie, segretarie, parrucchiere, estetiste, commesse, cassiere, receptionist, hostess, cubiste. Ahimè anche molte schiave della strada. C’è chi sostiene che la prostituta sia un mestiere scelto. Io resto convinta che sia una condizione imposta.

La carriera: la donna in carriera è uno squalo o una virago. In qualsiasi campo. Non può essere diversamente. Altrimenti soccombe. Sopra ho citato alcuni mestieri più femminili che maschili (poi ci sono le eccezioni) che, a ben guardare, prevedono molta apparenza e poca sostanza, oppure, attitudine al servizio piuttosto che alla dirigenza o all’esercizio dell’autorità. Per arrivare a ricoprire certi ruoli o esercitare certe professioni, la donna si trova davanti sempre lo stesso bivio: utilizzare o mettere da parte la propria femminilità. Sia l’una che l’altra scelta sarà un’arma a doppio taglio. Prendiamo la carriera politica: nuovo Governo docet. Sono solo quattro le ministre, ma che ministre! I commenti già si sprecano, così come si sprecavano per le già ministre Bindi, Turco, Bonino, Jervolino. Non si scherza nemmeno con quelli riservati ad Angela Merkel, Condoleeza Rice, Hillary Clinton. C’è una differenza sostanziale nello sparare i giudizi su donne e uomini che ricoprono ruoli di potere: gli uomini ricevono critiche o consensi per quello che fanno, le donne per come appaiono. È una mia errata impressione?

E per finire, una chicca: Alba Parietti, durante una trasmissione di “Porta a Porta”, si rallegrava perché finalmente il tradimento di una donna è equiparato a quello di un uomo. “Una bella conquista, se ripensiamo al delitto d’onore”. Applausi alle donne che hanno lottato per la libertà e l’emancipazione sessuale! Ma è mai possibile restare ad ascoltare passivi queste sentenze?

Non ho conclusioni. E non riesco minimamente ad immaginare le aspettative che la nostra sempre più complessa e ambigua società, nutra nei confronti delle donne, disabili e no.

Non mi piace generalizzare. Io non credo alla massificazione, all’omologazione, alla Santa globalizzazione.

Vedo un mondo alquanto variegato di donne attorno a me, disabili e no. Donne che si tolgono letteralmente dal mucchio, donne che nel mucchio ci si buttano e si trovano bene.

Se si imparasse ad osservare meglio chi ci vive accanto. A capire che ogni persona è preziosa per la sua diversità. Se si riuscisse a farla valere davvero questa diversità. A farci riconoscere per quello che valiamo.

Io credo che ognuno di noi, uomo o donna, disabile o non disabile, faccia le sue personali  fatiche a stare al mondo come vorrebbe, ad essere considerato come vorrebbe. Ma ce la si può fare, senza che sia per forza l’eterna lotta tra Davide e Golia. Proviamo lasciare a Golia – la società – le sue “regole” e cambiare le nostre, dal nostro interno, facendole poi valere. Alla fin fine ognuno di noi è una delle cellule che compone quel mostro, no?

Se solo si riuscisse ad imporre e negare noi, a noi stessi, ciò che non vorremmo ci imponessero e ci negassero gli altri.

Non sarebbe questa, già, un’importante conquista?

Lei non balla sul tavolo

di Edvige Invernici

Per una decina d’anni sono stata figlia unica di mamma e papà, nipote unica di zia, zio e nonno materno. Abbiamo vissuto tutti in un grande appartamento, anche dopo la nascita dei miei due cugini, sino a quando morti e matrimoni, hanno disgregato il nucleo storico.

Mi mettevano sul grande tavolo della cucina e io ballavo, giravo e rigiravo. Piccola saltimbanco che allietava tutti. E tutti mi battevano le mani.

Dovevo essere felice e farli felici, soprattutto mia madre perché le avevano detto che non avrebbe potuto avere altri figli. E mi soffocava d’affetto, ansie, paure e insicurezze.

A 24 anni ero capofamiglia.

Mio padre se ne era andato in un incidente stradale e il nonno ci aveva lasciato molto prima. Madre, zii e cugini si aspettavano che ballassi ancora sul tavolo della cucina, ma era diventato troppo grande, troppo pesante.

Cattedre e scrivanie mi hanno assegnato il ruolo di studentessa e di lavoratrice. E sono stati gli anni pieni di aspettative, sogni, conquiste. Senza delusioni, con qualche timore di non farcela, forse di essere io a deludere. Ho sempre vissuto con una sorta di bisogno di accontentare tutti coloro che incrociavano la mia vita prima di accontentare me stessa, di un tavolo su cui ballare.

È così che sono stata moglie. Ma quando sono diventata madre a mia volta, non ho fatto ballare mia figlia sul tavolo della cucina e ho lasciato il lavoro per godere appieno la maternità.

E mentre lei cresceva mi sentivo negare il ruolo di donna impegnata nella scuola, nel partito, nella società. Per non soffocare ho chiesto il divorzio e siamo state in due a dover cambiare vita, a difenderci da giudizi e pregiudizi, a impadronirci di nuovi ruoli.

Due donne che non hanno avuta paura.

E sono approdata alla UILDM di Bergamo. Volontaria, dipendente a tempo parziale, dipendente a tempo pieno, pensionata, di nuovo volontaria, ora presidente. Quasi una carriera. Comunque dentro un ruolo che mi ha visto decidere, faticare, minacciare dimissioni mai presentate, costruire relazioni bellissime, conoscere persone splendide, sentirmi appagata, stanca, serena e mortificata, ma sempre una donna che stava esercitando dei diritti e che li difendeva per sé e per gli altri.

Forse, prima per gli altri e dopo per sé.

Solo la pausa in cui sono ritornata figlia per accudire la mia anziana madre m’ha privato del ruolo conquistato. È stata dura, ma anche questo appartiene al passato.

Negli ultimi cinque anni mi sono riaffacciata alla politica e mi sono riappropriata del…  tavolo, anzi di tanti tavoli: quelli istituiti dalla 328 per il governo delle politiche sociali. E sono altre fatiche, altre soddisfazioni.

Ho chiuso con il partito. Non lo ritrovo più in nessuna corrente, in nessuna coalizione. Era tanto piccolo…

Strada facendo ho riconquistato il ruolo di moglie. Accontento me stessa prima di accontentare lui. È molto bello.

Ho aperto con altre associazioni di volontariato, coordinamenti, forum, gruppi formali e informali e insieme stiamo costruendo una rete grande, molto grande. È molto bello anche sentirmi tessitrice.

Ma non è finita. Ora mi vorrebbero nonna. Mi chiedono, spesso, più o meno velatamente le ragioni di tale ritardo. Di solito rispondo accennando un sorriso e allargando le braccia.

Se dovessero insistere risponderò dicendo: “Mia figlia non balla sul tavolo della cucina…”.

La fatica della società

di Alessia Guidali

La società di oggi si aspetta da una donna molte cose: ruoli domestici e materni come, per esempio, cucinare, tenere in ordine la casa, sostenere la gravidanza e  crescere figli. Mentre invece per una donna disabile la situazione non è proprio così. La società, infatti, non valorizza le donne disabili come persone che hanno un proprio carisma, ma le tratta come individui che hanno sempre bisogno di qualcuno che li accudisca.

Io personalmente in questa società posso dire di sentirmi abbastanza accolta. Nonostante ciò sembra che tutto mi cada addosso. A questo proposito posso dire di non ricoprire dei ruoli imposti, ma al contrario avverto che certi ruoli mi vengano negati in quanto sono una donna disabile e presento delle difficoltà fisiche e motorie che mi impediscono di sperimentare e di approfondire certe tematiche, come, per esempio, l’affettività e l’intimità. E’ difficile che una donna disabile venga accettata come tale con una propria identità e sessualità, ma al contrario viene vista come la classica poverina che ha sempre bisogno di continue protezioni, e che quindi non può decidere da sola neanche sulle piccole cose della vita.  Al giorno d’oggi la società in cui viviamo fa molta fatica ad aprirsi verso il disabile.

Come ho già detto durante l’incontro di Lignano, io a volte non riesco ad accettare la mia disabilità. Sicuramente per me non è stato facile rispondere alle sollecitazioni su questi temi, ma spero comunque di essere stata chiara.

Più esigenti con le donne

di Elisa Di Lorenzo

Anche Elisa, come già Gianna Foschi, ha preferito attenersi alle domande esemplificative predisposte per stimolare la riflessione. Pertanto riportiamo il suo contributo di pensiero così come ci è prevenuto (con le nostre domande in corsivo).

Secondo voi, in generale, si pensa che le mansioni di cura spettano ancora alle donne?

Si, dalle donne si è abituati ad pretendere sempre di più.

In generale, ci si aspetta: che le donne con disabilità sappiano/possano svolgere ruoli di cura?

Non credo

In generale, ci si aspetta: che le donne, in quanto tali, siano provviste di istinto materno?

Sì.

In generale, ci si aspetta: che la donna disabile ambisca a diventare madre?

Sì.

In generale, ci si aspetta: che le donne siano più sentimentali e meno razionali?

Forse in generale si pensa questo.

In generale, ci si aspetta: che le donne disabili siano più sentimentali e meno razionali?

Credo anche se disabili.

In generale, ci si aspetta: che la disabilità sia compatibile con la femminilità?

La disabilità credo non sia compatibile con nessuno e con nulla.

In generale, ci si aspetta: che gli uomini provino interesse (anche erotico) per una donna disabile?

Non credo, ma ci sono sempre le eccezioni.

In generale, ci si aspetta: che una donna disabile possa provare interesse (anche erotico) per un’altra donna?

Se questo fenomeno esiste nella normalità potrebbe anche capitare tra invalide.

In generale, ci si aspetta: dalla donna disabile le stesse cose che si aspetta dall’uomo disabile?

In quanto donna anche dalla disabile ci si aspetta più.

In generale, ci si aspetta: dalla persona disabile le stesse cose che si aspetta da tutte le persone?

Non credo, ma per certi versi sicuramente.

La società si aspetta da voi compiti e ruoli ai quali non potete o non volete corrispondere?

Purtroppo la disabilità è ancora paragonata o considerata uguale a deficienza.

E voi, come vi sentite in questa società?

Abbastanza disagiata.

Vi sentite di star ricoprendo dei ruoli imposti o, al contrario, sentite che certi ruoli vi vengono negati?

Alla mia età (sessant’anni) prevale solo il grande desiderio di dare e ricevere affetto e non solo dalla propria famiglia. Io ritengo che a qualsiasi età il disabile che sappia affrontare un percorso di crescita interiore, maturando e dimostrando la sua buona volontà a vivere comunque la sua vita anche se con un handicap può riuscire ad ottenere molte rivincite, soprattutto se sa spogliarsi del vittimismo e della rabbia che spesso lo imprigiona facendo soffrire se stesso e chi gli è vicino, e lo isola anche dalla società.

Perché, secondo voi?

Nonostante alcuni importanti risultati raggiunti in questi ultimi anni, io sono convinta che manchi ancora molto alla sociètà moderna per equilibrare il rapporto con la persona disabile e penso che solo le Istituzioni, con i ministeri adeguati, potranno far crescere anche la popolazione.

Negare un ruolo

di Anna Petrone

Il ruolo della donna oggi è cambiato molto, non siamo più abituati a vedere la donna come “angelo del focolare domestico”, ma una donna che ricopre nello stesso tempo più ruoli: quello di madre, quello di moglie, quello di lavoratrice, e, per fortuna, da un po’ di tempo, anche quello di donna impegnata in politica, in movimenti o in associazioni.

Una donna quindi che guarda a se stessa nel rispetto dei ruoli che la società da sempre le attribuisce perché, nonostante l’emancipazione, ancora non siamo abituati a pensare che possa compiere delle scelte che escludano i ruoli classici.

Però leggendo la cronaca non possiamo non riflettere su fatto che ancora venga esercitato sulle donne il più alto numero di violenze. Anche il modo di violentare è cambiato: prima le violenze erano quasi esclusivamente di carattere fisico, adesso si esercitano violenze soprattutto di tipo psicologico. Anche negare un ruolo può essere vissuto come una forma di violenza: penso alle donne con disabilità che vengono spesso viste nell’immaginario collettivo come asessuate, non considerate nei ruoli di madre, di moglie, di innamorata, di lavoratrice. La presenza della disabilità “eclissa il genere”, quindi la donna con disabilità resta per tutta la vita una ragazzina da accudire.

Quando saremo persone?

di Nunzia Proietti

Anche Nunzia, come già Gianna Foschi ed Eisa Di Lorenzo, ha voluto attenersi alla nostra traccia non vincolante. Anche in questo caso rispettiamo la scelta e riportiamo il suo contributo di pensiero così come ci è prevenuto (con le nostre domande in corsivo).

In generale, ci si aspetta: che le donne con disabilità sappiano/possano svolgere ruoli di cura?

No.

In generale, ci si aspetta: che le donne, in quanto tali, siano provviste di istinto materno?

Sì, ma poverine non possono.

In generale, ci si aspetta: che la donna disabile ambisca a diventare madre?

Sì, ma come fanno?

In generale, ci si aspetta: che le donne siano più sentimentali e meno razionali?

Non lo so.

In generale, ci si aspetta: che le donne disabili siano più sentimentali e meno razionali?

Più sentimentali.

In generale, ci si aspetta: che la disabilità sia compatibile con la femminilità?

In parte si.

In generale, ci si aspetta: che gli uomini provino interesse (anche erotico) per una donna disabile?

In parte si.

In generale, ci si aspetta: che una donna disabile possa provare interesse (anche erotico) per un’altra donna?

No.

In generale, ci si aspetta: dalla donna disabile le stesse cose che si aspetta dall’uomo disabile?

No.

In generale, ci si aspetta: dalla persona disabile le stesse cose che si aspetta da tutte le persone?

No.

La società si aspetta da voi compiti e ruoli ai quali non potete o non volete corrispondere?

La società è così perversa che spesso ti vorrebbe come non vuoi o non puoi essere… perché o ti considera disabile – per cui se le capacità di persona sono veramente ridotte devi essere gestito, non puoi, non sai provvedere a te stesso -, oppure ti considera un super dotato d’intelligenza, di personalità e di tutto ciò che può e deve superare la condizione. Allora mi chiedo, quando saremo persone? Comunque credo che la società non chieda a noi, persone con disabilità, cose diverse dagli altri, ma che nei nostri confronti le richieste siano amplificate, che le pretese vadano di pari passo con la gravità. In qualche modo bisogna compensare…

Senza negare la disabilità

di Fulvia Reggiani

L’argomento “ruoli imposti e ruoli negati” rimane comunque piuttosto ostico seppure mi siano stati dati parecchi spunti di discussione e di riflessione. Mi sento di affermare che sono una donnadisabile e l’ho scritto appositamente non separato in quanto un concetto non può essere scisso dall’altro. Mi appartengono entrambi nel profondo e io sono quella che sono anche “grazie” a questo binomio! La società distingue ancora fra uomo e donna, non fra uomo e donna disabili: per essa costoro sono comunque prima disabili, ovvero da essi non ci si aspetta che possano affermarsi, appunto, come “uomini” e “donne”. Da questa premessa deriva che tutto ciò che ci si aspetta dalla persona disabile è ovviamente diverso da ciò che ci si aspetta dalle altre persone. Chiarito questo punto, per la donna disabile il percorso di crescita, individuazione e affermazione della propria identità, qualunque essa sia (donnadisabile femminile o mascolina, con o senza senso di maternità, lesbica o etero, sentimentale o razionale, ecc.), risulta difficile, ed è ovviamente ostacolato dal ruolo di disabile che le è già stato “assegnato”, e nel quale il pensiero comune la colloca. Da me, donna disabile, – diversamente dalle altre donne – non ci si aspetta che possa svolgere compiti di cura, o che possa diventare madre, eppure quante donne disabili lo sono? Diverso è desiderare di diventarlo! Ogni donna può avere o non avere desiderio di maternità, anche se, per le donne disabili, il desiderio coincide raramente con la realizzazione della maternità. Questo sia per un problema fisico, che scaturisce dalla gravità dell’handicap, sia, e soprattutto, per una questione oggettiva: poter accudire e allevare il proprio bambino (l’uomo non è pronto a questo ruolo di cura a tempo pieno). Dalla donna disabile non ci si aspetta che abbia femminilità, e quindi che possa suscitare interesse negli uomini e, viceversa, dagli uomini disabili non ci si aspetta virilità è mascolinità. In conclusione credo che nella società non si raggiungerà mai l’omogeneità dei ruoli e delle aspettative nei confronti delle persone disabili. Infatti sono convinta che la donna disabile e l’uomo disabile abbiano fatto passi da gigante nell’affermazione dei propri ruoli e delle identità individuali senza però, e bisogna farsene un vanto, negare la propria disabilità.

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