Riflessioni dei partecipanti

Né diversa, né uguale

di Annalisa Benedetti

Quale che sia il corpo… ci si può esprimere, si può comunicare e trovare un modo per entrare in relazione con l’altro.

Certo il corpo si usa poco e male. Almeno, noi abili, lo usiamo gran male!

Lo usiamo come lo usano i personaggi dei media e della moda, come lo usano le persone che ammiriamo, alle quali vorremmo assomigliare per qualche motivo.

Non lo si usa più per comunicare i sentimenti, per far capire i propri bisogni. Sono molto rari i casi. Ma mai come in quest’ultimo mezzo secolo il corpo è il primo pensiero, la prima preoccupazione per tutti. Perché attraverso il corpo si appare, si da la prima impressione ed è quella che conta quando si entra in relazione con gli altri. In qualsiasi contesto. E’ giusto che ci sia un’attenzione alla cura del corpo, a come appare, a come è. Un’attenzione ragionevole però. Per piacere bisogna piacersi. Poi, se non piaci lo stesso non è per colpa del tuo corpo. Nemmeno per come l’altro lo recepisce. E’ per come ti esprimi. E non ci si esprime solo a parole. Anzi. Prima ci si esprime col corpo. Postura, gesti, espressioni, occhi. E c’è una bella differenza fra apparire ed esprimersi.

Noi crediamo di avere solo l’arma della parola. Ma la parola, è tipica solo ed esclusivamente dell’essere umano. E’ l’ultima arrivata. Prima di tutto c’è il linguaggio non verbale. E’ il più studiato da tutte le discipline (anche da chi deve decidere come disporre la merce sui banchi del supermercato) e ce ne sarebbero di scrivere di parole, appunto. Ma torniamo al corpo. Alla nostra parte nobile.

Da questa esperienza ho riscoperto l’importanza della mimica facciale e in particolare dello sguardo. Di quanto si può dire guardandosi negli occhi. Ho riscoperto quanto non sono brava ad esprimermi con le parole, ma quanto lo sono con il linguaggio non verbale. E quanto mi piace guardare negli occhi l’altro.

E’ incredibile come in queste situazioni artefatte io mi comporti esattamente al contrario di quanto non faccia nella vita quotidiana. Nella vita di tutti i giorni tendo a sfuggire agli sguardi, a comunicare il meno possibile. A nascondere il mio corpo, usarlo il meno possibile. Mi piace ascoltare ed osservare mantenendo le distanze.

In questa occasione quando dovevo fare i conti con me stessa ad occhi chiusi mi sono sentita impacciata, imbarazzata e innaturale. Pensavo a come si sarebbero comportate le altre persone e non riuscivo a concentrarmi sui movimenti che avrei dovuto svolgere io su indicazione del conduttore. Pensavo fra me e me a come potevano sentirsi le persone che non potevano muovere braccia e gambe. Mi sentivo quasi di non avere rispetto per loro quando mi era venuto di saltare pensando ad un movimento veloce per esempio. Ho comunque saltato. Ma quasi mi sentivo in colpa o, meglio, mi sentivo giudicata, seppure sapevo che nessuno mi vedeva.

Quando ho aperto gli occhi e ho potuto stabilire un contatto con lo spazio prima e con le persone poi, mi sono sentita molto meglio. Finalmente naturale e decisa. Perché potevo vedere gli altri, confrontarmi con loro, agire sotto i loro occhi. Paradossalmente mi sentivo più libera e meno giudicata. Forse perché mi sentivo in grado di rispondere qualora mi venisse chiesto qualcosa, a parole o senza. E’ stata una bella sensazione sentirmi parte del gruppo. Né diversa, né uguale. Semplicemente una del gruppo.

Lavorando sul linguaggio corporeo in coppia con una persona in carrozzina con gravi difficoltà motorie, mi sono resa conto di quanto ciò che agli occhi appare immobile, sia in realtà in continuino movimento. Sia un fluttuare di emozioni, sentimenti e stati d’animo. E quanto non servano le parole per comprendersi. Per stabilire un contatto, un’empatia. Uno sguardo, un sorriso, un’alzata di sopraciglio, il movimento appena accennato del capo o di un dito della mano, valgono le mie strette di mano, i miei abbracci, le mie pacche sulle spalle il mio camminare e il mio correre a gambe levate.

Abbiamo un corpo, noi abili… ma siamo così inabili di usarlo.

Ho capito quante parole vengano sprecate fra chi ha un corpo che può parlare ma è muto, completamente incapace di comunicare. Sì, perché ormai da questa parte (quella degli abili) il copro lo si usa solo per attirare l’attenzione, per esprimere uno status simbol, un’idea, una posizione ricoprendolo, più o meno, di altri mezzi di comunicazione che sono i vestiti, gli ammennicoli, il trucco. Lo fa chiunque, ma, voglio dire, noi ci fermiamo a quello.

Per chi ne può muovere solo alcune parti diventano fondamentali quelle parti per comunicare. Ho riscoperto che “ascoltare” una persona, significa anche osservare il suo corpo. Perché è il linguaggio del suo corpo che da senso alle parole. E, secondo me, meno riesci a muoverlo, più lo usi meglio. Questo mi è sembrato di percepire dall’esperienza condivisa.

Ho notato che la maggior parte di chi si è tolto dal “gioco” della relazione con l’altro erano persone abili. Anch’io nella vita di tutti i giorni, spesso, mi tolgo dal gioco. Mi piace restare fra le quinte. Mi sento aggredita dalle parole, dalla voce, dai gesti plateali, da corpi che esprimono rabbia, forza, bellezza, potere, superiorità in modo artificiale e fasullo.

Forse dietro quel corpo c’è un gran vuoto. Un gran silenzio. Non dovrei averne così paura.

Ma preferisco accostarmi da chi riesce soltanto a sussurrare, da chi è apparentemente fermo, da chi non mi spaventa, da chi non mi mette subito sul piano della competizione. So di trovare, quasi sempre, una persona da ascoltare, dalla quale imparare e alla quale posso a mia volta insegnare. Una persona dalla quale, poi, difendersi o con la quale allearsi. Un universo di emozioni, di sensazioni. Una persona che mi chiede aiuto, ma anche una persona che può darmene uno grande: quello di non aver timore di esprimere quello che sento e quello che sono… quale che sia il corpo!

Un caro saluto, con stima e affetto.
GRAZIE!

Un concerto di corpi

di Mariangela Caroppo

Del seminario ho recuperato alcune emozioni o meglio sensazioni…..

Avete presente un quartetto jazz? Strumenti diversi, suoni diversi, ritmi diversi, linguaggi diversi… eppure si amalgamano conservando la proprio singolarità.

Ecco, così i nostri corpi, così diversi hanno dialogato – come un sassofono e una chitarra – hanno parlato una stessa lingua, una lingua fatta di sguardi, gesti, movimento…

e quanti movimenti, impensabili!

E poi….. ho potuto realizzare il mio sogno: essere la Salomè che fa la danza dei sette veli (sic).

Alla scoperta di me donna

di Edoardo Facchinetti

Sono Edoardo un uomo di quarantadue anni affetto da tetraparesi spastica ma iscritto alla U.I.L.D.M. di Bergamo. Ho avuto la fortuna e la gioia di partecipare al seminario nazionale “Quale che sia il corpo” ideato dal Gruppo Donne della U.I.L.D.M. nazionale magistralmente condotto da Sauro Macera.

Personalmente fino a sette o otto anni fa ho avuto la fortuna di frequentare degli atelier di ricerca corporea residenziali organizzati dal gruppo A.E.P.E.R., un gruppo di volontariato di Bergamo, per cui ho avuto un certo bagaglio di esperienze che mi hanno aiutato e che mi aiutano tuttora nel percorso talvolta faticoso, talvolta piacevole, talvolta non riuscito, di accettazione del mio corpo e soprattutto della parte femminile che ho in me. La stragrande maggioranza dei componenti e delle componenti di questi atelier erano donne normodotate per cui è stata la prima volta che mi sono dovuto confrontare con un gruppo composto prevalentemente di donne disabili e il tutto nel lasso di tempo di una giornata. E’ stato decisamente interessante e piacevole: interessante perché ricca di stimoli, piacevole perché ho riscoperto il piacere della mia componente femminile e della mia carica espressiva. Per un po’ di tempo, per alcune ore, ho lasciato da parte la mia parte razionale e ho dato libero sfogo alla mia parte fantasiosa e giocosa.

Tale esperienza mi sento di raccomandarla almeno una volta nella vita a tutti gli uomini, perché a mio parere si può iniziare a costruire relazioni non handicappate, cioè prive di ostacoli, a iniziare dal nostro interno facendo pace se uomini con la nostra parte femminile, se donne con la vostra parte maschile. Quando vado con la memoria a quella giornata del 10 maggio mi si riempie il cuore, la mente e il corpo (perché no!) di una sensazione che è un misto di piacere, di tenerezza, di affetto, di gioco con alcune fatiche. Vorrei ringraziare tutte le donne e purtroppo i pochi uomini presenti come normalmente succede quando si trattano questi argomenti di queste piacevolissime sensazioni; anche della proposta fatta da Francesca Arcadu di entrare a far parte di questo gruppo, proposta che accetto molto, molto volentieri. Vi ringrazio anche del vostro aiuto che mi avete trasmesso nello scoprire con molta tenerezza e pazienza che in fondo io voglio bene a questa donna che è in me, vorrei poter farla esprimere il più a lungo possibile senza censure e senza paure.

Un grosso augurio di buon lavoro e un abbraccio carico di solidarietà, di tenerezza e di compartecipazione a tutte e a tutti.

Quando prevale il razionale

di Oriana Fioccone

Mi è stato chiesto di scrivere le sensazioni che ho provato durante l’incontro “Quale che sia il corpo” ed ora sono qui a chiedermi: “Che cosa ho provato? Che cosa ho sentito?”

Posso dire di aver capito che parlo troppo, che so esprimermi solo, o meglio, soprattutto con le parole e che non so proprio da che parte iniziare quando mi si dice di provare ad esprimermi con un gesto oppure con un movimento.

Proprio quando mi è stato suggerito di tentare di eseguire tutta una serie di mosse, mi sono resa conto, una volta di più, di quanto fosse estremamente limitata la varietà dei miei movimenti e, quindi, era logico che mi rifugiassi nella parola, nell’uso della “lingua”, la lingua usata anche come uno dei miei movimenti possibili, come linguaccia, come uno sberleffo al mondo che mi costringe a piccoli e limitati spostamenti, anche quando avrei voglia di spiccare un triplo salto mortale all’indietro.

Esagero? Non so, forse.

Il problema è che io sono così, oppure, probabilmente, appaio in questo modo: estremista nelle mie affermazioni e nei miei atteggiamenti.

Anche in quest’occasione è successo: la mia parte razionale mi ha impedito di avvertire quell’energia che gli altri partecipanti del gruppo dicevano di sentire scorrere, che aiutava a raggiungere una serenità interiore.

Avrei voluto provare queste sensazioni e ci ho anche provato, ma, il mio carattere, il mio solito io che mi accompagna e mi guida, ha avuto il sopravvento, perciò è uscita la solita Oriana, critica, contestatrice e polemica.

Mi è stato consigliato che devo provare ad ascoltare la mia parte interiore, ma dove la trovo? Voi che sapete, voi che provate, voi che sentite mi dite dove devo cercare? Visto che ci riuscite così bene potreste aiutarmi in un compito così arduo.

Io voglio riuscirci.

Come vedete ci risiamo, mi sono di nuovo comportata “al contrario”: mi era stata chiesta una relazione e sono finita in una dichiarazione d’intenti.

A questo punto posso dire cosa ho visto.

Ho visto persone che dicevano di avvertire una forza positiva che le accompagna nella loro esistenza e che ha trovato nuova linfa durante le ore dell’incontro, pertanto, se tale occasione ha raggiunto, anche solo in parte, quest’obiettivo, penso che sia utile e positivo ripeterla in un futuro, che non sia troppo lontano e, prometto, ci proverò con un impegno maggiore e, per la tranquillità di Sauro, tenterò pure di rimanere un po’ in silenzio.

L’isola felice

di Marco Parisi

Mi chiamo Marco, ho ventiquattro anni e sono un obiettore di coscienza in servizio alla sezione di Bergamo della U.I.L.D.M.

Lo scorso 10 maggio ho avuto la fortuna e il piacere di prendere parte al seminario “Quale che sia il corpo” insieme con Edoardo col quale ho trascorso due splendide giornate di condivisione profonda. La prima cosa che mi ha colpito di queste due giornate passate a Lignano Sabbiadoro è stata l’esperienza di trovarmi in minoranza: non essere in carrozzina significava essere “il diverso”, in qualche modo, e passare dall’altra parte è un esperienza che vale la pena di provare. In questa “isola felice”, come l’ha chiamata Nunzia una signora di Livorno, tutto era capovolto: molti erano i carrozzina, alcuni no. Questa situazione mi ha stimolato fin da subito a calibrare i miei movimenti, a gestire il mio corpo negli spazi, ad attivare nuove sensibilità e attenzioni. Una sorta di corso propedeutico e informale al seminario che si è tenuto venerdì sotto la guida di Sauro.

Durante l’atelier “Quale che sia il corpo” le attitudini già presenti in me allo stato embrionale sono venute alla luce grazie all’abilità di Sauro che dapprima ci ha aiutati a vincere quell’inevitabile e maledetto imbarazzo che frena i nostri rapporti corporei-interpersonali, e successivamente ci ha invitati ad esplorare le possibilità espressive del nostro corpo, quale che sia. Spero di non risultare offensivo per nessuno se con una punta di vergogna ammetto che alcune e alcuni partecipanti, con possibilità motorie inferiori alle mie, hanno dimostrato capacità espressive di gran lunga più elevate delle mie: sotto questo punto di vista ho provato una certa invidia e, lo ripeto, nessuno me ne voglia. In sostanza questo seminario mi ha aiutato a vedere in ogni corpo, quale che sia, capacità espressive impensate ed ora pensabili, insondate ed ora sondabili e mi ha aperto gli occhi sugli handicap espressivi del mio corpo.

Ringrazio tutti coloro che erano presenti al seminario per la carica emotiva che hanno sprigionato durante quelle ore trascorse insieme: vi assicuro che anche per me è stata un'”isola felice” visto che anche noi cosiddetti normodotati facciamo spesso un uso improprio del nostro corpo e delle sue capacità espressive. Forse uno dei momenti in cui lo usiamo in maniera più espressiva è attraverso la sessualità e la consideriamo una cosa da nascondere o da tacere … ci sarebbe parecchio da discutere!
Grazie a tutti

Un po’ meno “controllati”

di Elisa Tocchet

Ho partecipato all’incontro “Quale che sia il corpo” con un misto di entusiasmo e di preoccupazione, mi aspettavo il classico incontro dove avremmo dovuto parlare dei nostri problemi relativi alla difficoltà di movimento ecc. ecc., grande è stato lo stupore quando ho scoperto che avremmo dovuto relazionarci fisicamente con altre persone ….sconosciute!!!! Devo dire di essermi davvero preoccupata, ma anche di essere incuriosita da questa nuova esperienza.

All’inizio il nostro “MISTER” Sauro ci ha chiesto di chiudere gli occhi e fare dei piccoli movimenti, Be!! devo dire che per me è stato l’esercizio più difficile di tutti, e dire che scriverlo ora come ora mi sembra così banale, invece la sensazione di stare in una stanza con altre persone e non poter aprire gli occhi per sorvegliarli è stato davvero complesso. Forse perché sono abituata a tenere sempre tutto sotto controllo, persone, strada, scalini, ecc. per cui mi rendo conto di non essere capace di fidarmi del mondo esterno senza prima vedere con i miei occhi, come S. Tommaso??

Forse, fatto sta’ che questo incontro mi è servito molto per interrogare me stessa , pormi delle domande su quello che sono e su quello che riesco a fare o a non fare.
ciao a tutti e grazie..

Scenografie partecipate

di Giampietro Uleri

Il seminario “Quale che sia il corpo” è stato un’esperienza molto interessante ed esaltante soprattutto per tre motivi:

1) ci ha fatto prendere “coscienza” del nostro corpo e di come “sfruttarlo” nel modo migliore possibile, accettandone anche i limiti; cosa non facile, specialmente per quelli che hanno una disabilità fisica.

L’accettazione è difficile soprattutto perché la società odierna ci propone un modello di fisico perfetto le “diversità“, anche piccolissime, portano fuori dalla “norma” sono causa di frustrazioni depressive portano la persona a vivere il proprio corpo con un senso di incompletezza e di insoddisfazione;

2) abbiamo imparato la “musicalità” dei movimenti, la bellezza e l’armonia che essi possono creare fra loro.

Anche movimenti piccolissimi, che potrebbero sembrare insignificanti, uniti a movimenti di altre persone, con e senza disabilità, possono creare un’armonia tra di loro e delle piccole ma significative e soprattutto “partecipate” scenografie in un tempo ormai frenetico, dove tutto è dato per scontato, dove si vive in modo superficiale, spesso non si apprezza la ricchezza e la gioia che possono dare anche i più piccoli movimenti;

3) importante è stato “l’ascolto” che non presenta disabilità e si adegua al movimento della persona disabile, sia fra disabili. Questo potrebbe essere anche un metodo pedagogico di sensibilizzazione alle manifestazioni-esigenze di un corpo disabile; quindi un metodo in un certo senso empatico, perché il disabile può entrare in sintonia col suo corpo e con quello di altri disabili e non. Un metodo che consente al corpo di esprimere meglio ogni suo movimento e induce a non dare niente per scontato, ma a considerare ogni più piccolo movimento come una ricchezza per sé e per gli altri.

In una società egoistica, questo può essere anche un modo di sensibilizzare all’altruismo, a “vedere” oltre le apparenze e quindi ad un “vedere” creativo.

Ringrazio il gruppo donne della UILDM per aver organizzato questo seminario “rigenerativo” anche dal punto di vista dell’autostima e della carica emotiva.

Istizzitisciti!

di Gaia Valmarin

Cari Amici d’avventura,

infatti, quest’anno il Gruppo Donne ci ha fatto vivere una bella avventura. Come ogni bravo esploratore e avventuriero abbiamo dovuto incorrere anche in prove e cimenti piuttosto rischiosi, ad esempio “istizzitisciti!” gridato al centro della stanza davanti a tutti. Per non parlare delle boccacce e delle smorfie che Sauro ci ha gentilmente obbligato a compiere.

A parte queste piccole note di ilarità, ho trovato il seminario piuttosto impegnativo e all’inizio frustrante, a causa della mia quasi impossibilità a compiere i movimenti ed esercizi. Mi sono sentita in imbarazzo nei confronti degli altri. Il terapista è stato veramente bravo a cogliere il mio disagio, facendo diventare il mio deficit quasi un punto di forza e di esempio. Usandomi come “modella” ha permesso che anch’io potessi essere coinvolta e sicuramente anche gli altri del gruppo hanno visto la possibilità di interagire con me.

Il seminario, sorprendentemente mi ha lasciato degli spunti di riflessione inimmaginabili. Innanzitutto che la mia fisicità così “deficitaria” non deve essere sempre fonte di vergogna, ma anzi, si può imparare a giocare con il proprio corpo e con quello degli altri. La seconda riflessione è che se aiutata, perfino io posso diventare meno timida!

Infine, il pensiero più importante che mi sono riportata a casa, è stato che se ti porgi a chi ti sta accanto in modo gentile e accogliente, i risultati si vedono e soprattutto si percepiscono anche solo con un sorriso e uno sguardo.

Vi ringrazio ancora delle belle ore trascorse insieme e vi raccomando, ogni volta che qualcuno ci fa alterare gridiamogli, come ci ha insegnato Sauro, “istizzitisciti!” .

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