Eppure facciamo gruppo
di Francesca Arcadu
E’ passato poco più di un mese dall’8 maggio 2003, data in cui si è svolto l’ultimo seminario organizzato dal Gruppo Donne e scriverne è alquanto difficile. Non è il tempo trascorso, però, la causa di tale difficoltà.
Il tema scelto quest’anno è stato frutto di una discussione che, nei mesi precedenti l’appuntamento, ha coinvolto tutti coloro che in qualche modo fanno parte del Gruppo e l’opzione finale, riguardante la “privacy all’interno di un rapporto sentimentale”, ha rappresentato l’incontro di diverse opinioni, convergenti su tale tema. Si è avvertito il bisogno, da parte delle persone disabili interpellate, di analizzare le difficoltà nel conciliare il rapporto con i propri assistenti (familiari, amici, operatori), alla luce dell’intersecazione di tale relazione con la privacy necessaria, in un rapporto sentimentale della persona disabile stessa, ma non solo, anche nelle relazioni quotidiane che mettono a contatto con gli altri.
A condurre l’incontro, come è tradizione, è stato chiamato un esperto che in questo caso si occupava di psicoterapia, sessuologia, danzaterapia. Un professionista, dunque, che ha avuto diverse esperienze con persone disabili di diverso tipo e risultava adatto ad affrontare il tema scelto.
Titolo efficace dell’appuntamento “Io, tu, l’Altro… e la privacy?”.
La difficoltà di riferire in qualche modo del seminario, per tornare all’incipit del mio contributo, sta nel non riuscire a tirare le fila di un’occasione che ha mostrato aspetti positivi e negativi insieme. Il folto numero di partecipanti, andato ben oltre le aspettative ed il numero chiuso previsto inizialmente, se da una parte ha confermato felicemente l’interesse (e il bisogno) verso momenti di riflessione che vadano oltre i temi classici delle assemblee UILDM, confermando così il motivo di essere del Gruppo Donne, dall’altra può aver reso difficile l’apertura al dialogo dei partecipanti, la possibilità di prendere la parola e contribuire con il proprio pensiero.
Ciò che in particolar modo ha condizionato l’incontro, a mio parere, è stata la conduzione del professionista chiamato a coordinare e dirigere i lavori. Di fronte al tema preciso, stabilito, discusso nei giorni precedenti, è apparso infatti che non ci fosse profonda sintonia tra lo stesso e gran parte dei presenti, considerando il punto di partenza del conduttore, assertore in apertura del seminario del concetto ” la privacy non esiste”!
E’ apparso, dunque, lungo tutta la mattinata il bisogno dei presenti di riportare e spingere il dialogo sul tema prescelto dai più, tema affrontato solo marginalmente dal conduttore per lasciar spazio ad argomenti altrettanto coinvolgenti quali l’autoaccettazione, il confronto con l’altro, la sessualità, temi che, però, erano stati già affrontati e se così si può dire “metabolizzati” da gran parte dei presenti nelle scorse occasioni assembleari.
Se però questa sfasatura tra conduttore e partecipanti ha impedito in qualche modo di focalizzare l’argomento scelto, allontanandolo totalmente dalla prospettiva desiderata per lasciare spazio all’intervento di tutti i partecipanti (molti si sono limitati ad ascoltare e non sono stati invitati a partecipare con il loro contributo), ha anche offerto alla sottoscritta, prima di tutto, l’occasione per verificare un aspetto importante. Ho avvertito in modo chiaro il senso di appartenenza ad un Gruppo che non nasce per volontà di poche proponitrici, ma è prima di tutto la manifestazione di un’esigenza di confronto, di una “corrispondenza di amorosi sensi” riferita a temi che alcuni di noi sentono come prioritari, affrontano con punti di partenza affini e desiderano sviluppare in maniera simile.
Durante l’incontro, infatti, nonostante la mancanza di una conduzione sulla linea di discussione desiderata, è stato comunque possibile, su indicazione di alcune persone presenti che sono intervenute in maniera puntuale e stimolante, proporre dei punti che noi avvertivamo come necessari, soffermandosi sugli aspetti più difficili di alcuni temi.
Le linee guida del conduttore, forse, seppur non del tutto rispondenti alle nostre aspettative, hanno offerto l’occasione per riflettere ancora una volta su alcuni aspetti importanti, per creare ancora una volta un importante momento di autocoscienza, rimessa in discussione di convinzioni, timori che è possibile lasciare indietro.
Nessuna occasione è mai inutile, questo alla fine ho pensato nonostante qualche momento di dubbio sul aver centrato o meno il tema dell’incontro. Soprattutto nessuna occasione è sprecata quando si prova ancora una volta a confrontarsi, a crescere e capire meglio se stessi alla luce dell’inevitabile e naturale rapporto con la realtà circostante.
Proviamoci ancora
di Gianfranco Bastianello
Premetto che sto buttando giù delle sensazioni a caldo. Non sarò assolutamente critico verso questa iniziativa, anzi è senz’altro da lodare ed ampliare.
Devo dire che forse si era partiti (gli organizzatori) sottostimando la partecipazione e l’interesse. Inoltre da parte degli interessati (i disabili) c’è stato un concentrarsi sui “problemi tecnici” nella sessualità, più che sul come vivere la propria sessualità. Un tema del genere andrebbe sviluppato in una giornata intera, se non in più giorni. Infatti è un tema che i disabili sentono tantissimo, forse più delle storiche barriere architettoniche. Come ogni persona ha bisogno del proprio ausilio, così ogni persona vive la propria sessualità in maniera diversa da ogni altro, non ci sono situazioni standard, specie nella sessualità “disabile”.
I problemi che si evidenziavano, sono stati tutti accennati, ma nessuno sviscerato per poi poter trovare un approccio di soluzione. La conseguenza è che, almeno personalmente, ho avuto modo di vedere e provare una cosa bella senza poi poterla gustare. Da quello che ho capito l’intenzione sarebbe stata quella di creare dei gruppi di confronto-lavoro per parlare sia delle proprie angosce “sessuali”, sia di come qualcuno le ha affrontate e vinte (forse). Si è finiti con l’accavallare le proprie sensazioni in un turbinio di problematiche e di confronti che non portavano da nessuna parte.
Tutto questo sembra molto critico, invece non lo è. Devo lodare gli organizzatori per aver provato ad affrontare questo tema. Si saranno resi senz’altro conto che l’interesse è massimo e che l’esperienza ed il confronto andrebbero ripetuti in maniera molto più ampia. L’auspicio è questo.
Un’aspettativa delusa
di Marilena Busato
Per quel che riguarda l’incontro sulla privacy tenutosi a Lignano nel corso delle ultime Manifestazioni Nazionali UILDM, devo dire che questo, nella breve parte che ho seguito, non mi ha particolarmente entusiasmato. Mi aspettavo tutt’altro tipo di discorso, basato sui problemi che la persona disabile deve sostenere nella vita quotidiana per l’assistenza, avvalendosi di terze persone, che in alcune situazioni vanno ad invadere la sfera privata del disabile stesso e anche il rapporto di coppia. Problemi che devo sostenere anch’io essendo moglie di un disabile.
Visto il titolo del seminario Io, tu, “l’altro”. E la privacy? pensavo che l’argomento fosse interessante. Inoltre, essendo il prof. Roberto Penzo – coordinatore dell’incontro – psicologo, psicoterapeuta ed esperto delle problematiche suddette, mi aspettavo che ci spiegasse con parole semplici un argomento comune a molte persone disabili. Invece, la metodologia seguita dal professore nella sua esposizione non è riuscita a suscitare il mio interesse perché troppo “teatrale”, poco chiara e fuori tema.
E’ comunque un argomento importante da riproporre in futuro in altri incontri della UILDM.
In comunità
di Silvana Candela
Devo dire che sono rimasta molto colpita dal seminario che si è tenuto a Lignano. Era la prima volta che partecipavo.
Privacy! Tema per me molto importante. Io sono un’assistente domiciliare che lavora, da circa tre anni, in una comunità a Torino.
Secondo me il concetto di privacy in comunità non esiste. Non è possibile averla proprio perché si condivide quasi tutto. L’unica cosa che possiamo fare noi operatori, ma anche i risiedenti della comunità, è avere la sensibilità e la capacità di percepire certe dinamiche e comportarci di conseguenza. Non è facile e spesso mi sono ritrovata in situazioni imbarazzanti! Ad esempio dove non ho riflettuto vedendo una porta chiusa.
Ma torniamo al seminario, non ricordo bene tutto perché abbiamo toccato diversi temi che si sono intrecciati, però ricordo bene i sentimenti che si sovrapponevano, dalla rabbia alla paura, dalla frustrazione alla voglia di mettersi in gioco e di riscoprirsi. Mi è rimasto impresso quello che ha espresso una donna, dicendo che quando litigava con il suo compagno non poteva permettersi di sbattere la porta e andarsene; mi è rimasto anche il pensiero di un’altra che diceva che quando il suo compagno nell’aiutarla a vestirsi era come se facesse ancora l’amore.
Comunque sono rimasta più affascinata dalle persone che hanno partecipato al seminario che dal psicoterapeuta. Sinceramente. Secondo me non è riuscito ad entrare in contatto con le persone, era come se viaggiasse per conto suo. Probabilmente voleva riportare la conversazione su un tema che si era prefissato, ma ormai non era possibile perché si erano innescati dei meccanismi che ci hanno condotto altrove.
L’atavico problema dell’intimità
di Edoardo Facchinetti
Il seminario sul rapporto tra due persone con handicap e la privacy (leggesi come accompagnatore o accompagnatrice) è l’atavico problema dell’intimità delle persone e con le persone disabili. Anch’io, come alcune delle partecipanti al seminario, concordo con la considerazione che dipenda molto dal tipo di educazione ricevuta. Senza eccessive elucubrazioni mentali, direi che dipende dal grado di accettazione del proprio corpo e di autodeterminazione della persona disabile intesa come soggetto di assistenza.
Un rilievo al seminario e ai conduttori: è mancata la prassi. Se era essenzialmente una motivazione economica, come mi è sembrato di capire da voci pervenute, chi avesse voluto avrebbe potuto, in massima libertà, partecipare al costo del seminario.
Comunque è stato un seminario decisamente esemplificativo dei problemi anche pratici che una persona o due persone con disabilità – fortemente fisiche – incontrano nella volontà di approfondire teneramente e amorosamente la reciproca conoscenza, o nel cercare un rapporto sessuale anche a pagamento. Questo per la voluta e dovuta chiarezza e trasparenza di quanto un uomo di 44 anni con tetraplegia spastica ha colto da quella giornata seminariale.
Difendiamo la nostra privacy
di Oriana Fioccone
“La privacy non esiste”, questa è stata una delle affermazioni fondamentali scaturite dall’incontro organizzato dal Gruppo donne durante l’ultima assemblea della UILDM. Ma perché non dovrebbe esistere?
Questo non ci è stato spiegato e tutta la mattinata è proseguita seguendo questo assunto.
Mi chiedo: “La privacy non esiste per tutti o solo per noi disabili?”
Io intendo la privacy come un’area personale, intima, dei propri pensieri, ma anche del proprio corpo, da gestire, per quanto sia possibile, in maniera autonoma e da condividere, per forza maggiore, con poche, anzi pochissime altre persone. E invece no, io, in quanto disabile e, quindi, in quanto persona che ho bisogno di essere aiutata per gestire le normali attività quotidiane, devo essere “aperta”, accettare, anzi servirmi delle persone che mi aiutano e che diventano “strumenti” (così è stato detto) della mia autonomia.
Perbacco, non mi ero mai accorta che le persone che mi stanno intorno non sono esseri pensanti, ma puri e semplici ausili, come possono essere una carrozzina o un sollevatore!
Opinioni più o meno condivisibili, idee sparse, pensieri a volte confusi, ma quello che è scaturito dall’incontro è il bisogno della gente di parlare, di esprimersi a riguardo di argomenti ancora difficilmente trattabili tutti i giorni.
Anche solo questo fatto rende il bilancio della mattinata positivo, anche se si è dipanato su un filone lontano dagli intendimenti iniziali. Sono sicura che, alla luce degli eventuali errori, potremo solo e sempre migliorare. Non dobbiamo commettere lo sbaglio di spaventarci e di abbandonare una via senza dubbio ardua, ma proprio per questo motivo interessante ed intrigante.
Concludendo vorrei affermare un ultimo pensiero che ritengo determinante: difendiamo la nostra privacy, anche se qualcuno vuol farci credere che non esiste e che, quindi, non ne abbiamo diritto.
Poteva essere…
di Adriana Grotto e Federico Rodriguez
Non crediamo che il coordinatore del seminario abbia saputo portare avanti questo argomento, e fin qui siamo tutti d’accordo. Poi, si è parlato, parlato e parlato e non si sono tirate conclusioni.
La gente ha molto bisogno di esprimersi, soprattutto sui temi che riguardano la sessualità, ma non c’è stato un filo conduttore, non s’è tracciata una mappa, un progetto, qualcosa che potesse aiutare più in profondità le persone interessate.
Il coordinatore ha fatto riferimento troppe volte a esperienze personali anziché stimolare maggiormente i partecipanti. Alcuni esempi sono stati percepiti un po’ fuori luogo e hanno provocato una maggior chiusura nei partecipanti.
Insomma, non s’è seguita una traccia e nemmeno è venuto fuori un dibattito articolato.
Comunque fa sempre bene parlare delle proprie esperienze, avere la possibilità di confrontarsi e dare vita ad un dialogo costruttivo: lo si vede dall’elevato numero di partecipanti al seminario.
Forse il successo del seminario precedente ci aveva creato delle aspettative che invece non sono state soddisfatte. Non pensiamo che l’incontro non sia servito, ma il fatto di non aver seguito il tema prescelto ha impoverito la riuscita.
Nudo di donna
di Simona Lancioni
Mia mamma sa di me piccola molte cose che io non so perché non le ricordo. Le apprendo attraverso lei che me le riporta con le sue categorie e i suoi filtri (gli occhi di mamma!). I miei professori e i miei compagni di classe sapevano del mio andamento scolastico. Il parroco del mio paese sa che prima andavo a messa e ora non ci vado più da anni. Il mio commercialista conosce i miei redditi. Non ho un avvocato, se lo avessi saprebbe i miei illeciti (ma, ci scommetto, non mi direbbe i suoi, bastardo!). I miei amici conoscono le mie confidenze, io le loro. I miei vicini conoscono i miei orari, o meglio notano che non ho orari. Il supermercato vicino casa conosce i miei acquisti. Il mio datore di lavoro sa se e quanto lavoro. I miei utenti sanno se lavoro bene. Il mio medico conosce il mio quadro clinico al completo. Gianna sa che mi piacciono minestre e minestroni e provvede sempre a prepararmeli con amore (grazie!). La mia libreria preferita sa cosa leggo. Il mio fidanzato conosce molte cose di me. I miei malumori e le mie felicità.
Tutte queste persone, e anche altre – la lista sarebbe lunga -, sanno qualcosa di me. Saprebbero anche se io non volessi far loro sapere. Certo non tutti conoscono tutto, ma, ad una riflessione attenta, scopro che non c’è aspetto della mia vita che sia realmente “solo mio”. E’ vero, in cabina elettorale ci vado da sola, ma non ho mai fatto mistero dei miei orientamenti politici (dovrei?). La mia sessualità la esprimo col mio partner che, per quanto familiare mi possa risultare, è sempre altro da me. Quando penso, scrivo, creo, leggo tendo a farlo da sola, ma è un’abitudine, non una regola e solitamente gli esiti di queste attività trovano sempre un interlocutore, un destinatario. Se è dunque vero che ho spazi realmente miei solo entro certi limiti, è anche vero che non riesco a pensare spazi che non sia disposta a condividere con qualcuno. Certo non condivido tutto con tutti. Con alcuni condivido alcune cose e non altre. In alcuni momenti e non in altri. Ma se un tempo pensavo alla privacy in termini protettivi, ossia come alla ricerca di luoghi protetti dall’invadenza della società. Oggi tendo a considerarla di una scelta (ponderata) di condivisione.
A volte penso che in realtà ciò che vorremmo coprire (proteggere dallo sguardo degli altri) sono quegli aspetti che noi percepiamo come debolezze, che ci danno un senso di nudità. Se accettassimo tali aspetti forse “scoprirci” risulterebbe molto meno problematico, forse ci sentiremmo meno nudi, anche senza vestiti addosso. Rimane però il fatto che ognuno dovrebbe sempre poter scegliere se, e fino a quando, continuare a portare i “vestiti”. Non tutti abbiamo gli stessi tempi. Penso inoltre che esista un bisogno di solitudine. Un bisogno di autorigenerazione individuale – l’unica risposta efficace alle multiappartenenze, all’intreccio dei ruoli e alla complessità del vivere sociale. Un momento per tirare i remi in barca, fermarsi e riflettere. Perché in realtà relazionarsi con gli altri è faticoso, richiede energie e attenzione. Avere privacy significa poter scegliere di incontrare gli altri solo quando siamo pronti a incontrarli e condividere con loro solo le cose che abbiamo deciso di condividere. Solo una pizza, solo una confidenza, solo la partita di pallone, solo uno sguardo, solo un aspetto del sé o tutta la vita. Avere privacy potrebbe anche voler dire scegliere di non incontrarsi mai. Che scelta desolata!
Avessi problemi di autonomia la mia libertà di scelta sarebbe ancora più condizionata. Forse non potrei scegliere se condividere o meno (ora posso?), ma potrei lavorare per scegliere con chi condividere le cose che non posso svolgere in autonomia. Potrei iniziare a pensare alla presenza dell’altro come una delle tante situazioni della vita e non come ad una costrizione sgradita e inopportuna. E’ chiaro che in questi casi lo sforzo di adattamento non è facoltativo, somiglia di più ad una strategia di sopravvivenza, e questa è la brutta notizia. Quella buona è che si può sopravvivere, ad esempio iniziando a provare piacere e gratificazione da quelle condivisioni, anche quando la loro origine non è molto spontanea. Provando, cioè, a costruire i rapporti a partire dalle caratteristiche delle risorse umane disponibili.
Con uova, farina, burro, zucchero e lievito al massimo potremmo azzardare una torta. Ma quando gli ingredienti sono le persone gli esiti potrebbero essere davvero infiniti. Tutti quelli che queste sapranno pensare e inventare. Compreso rispettare una porta chiusa. Compreso riuscire a capire quando quella chiusura ha smesso di avere un senso. Altro che torte!
Il bisogno di spazi propri
di Enrico Lombardi
La privacy non esiste e abbiamo la tendenza a legarla, a riferirci ad essa, relativamente all’ambito sessuale. Più esattamente a quello genitale. Queste le conclusioni, o meglio le premesse, dell’incontro organizzato dal Gruppo Donne della UILDM durante le ultime Manifestazioni Nazionali di Lignano. Se questo è vero, allora mi chiedo perché quando qualcuno legge la mia posta, anche la bolletta del telefono, ho la tendenza ad innervosirmi? Eppure non ho mai telefonato ad una linea erotica in vita mia…
Sono sempre stato molto geloso della mia privacy ed alcune volte, non ho difficoltà ad ammetterlo, ho sofferto perché non riuscivo ad averne a sufficienza. È strano, quando pensiamo ad una persona con disabilità immaginiamo che soffra la solitudine, l’isolamento. Eppure sono convinto che uno dei più grossi handicap che una persona disabile deve affrontare nel corso della sua esistenza, sia proprio la mancanza di privacy. O se si preferisce la possibilità di avere degli spazi propri, esclusivi. Credo che il tema della privacy vada a braccetto con quello dell’autonomia. Del resto diventa difficile avere intimità quando si dipende dagli altri praticamente per ogni azione della vita quotidiana. Ci si abitua certo, e forse questo è l’errore più grosso che si possa fare. L’abitudine a non avere spazi propri può portare anche alla rinuncia a tentare di trovarli. Una sorta di pericolosa assuefazione. Pericolosa perché alla fine si corre il rischio di precludersi anche quelle possibilità residue, che comunque possono esserci.
Un discorso difficile, complicato. Eppure essenziale.
Difficile da affrontare perché spesso coloro che in qualche modo, involontariamente, ci tolgono la privacy, sono quelli che ci stanno più vicini. Sono coloro che ci aiutano praticamente in tutto. Senza contare che spesso, proprio per questo motivo, è vero anche il contrario. Quante volte abbiamo sentito dire che per i genitori di figli disabili la privacy è un’utopia?
E ancora, può esistere un problema di privacy anche all’interno di una coppia. Esiste quando uno dei due partner è disabile, figuriamoci quando lo sono entrambi! Certamente nel primo caso, con un po’ di fantasia e di buona volontà il problema può essere superato. È facile intuire che nel secondo caso le cose siano molto più complicate.
Non sono d’accordo sul fatto che la privacy non esiste e credo che quello di intimità sia un bisogno intrinseco dell’essere umano. Ripeto, importante almeno quanto quello di contatto con gli altri. Ed è fuori di dubbio che per una persona disabile, con problemi di autonomia, riuscire a ritagliarsi momenti propri è ancora più difficile. Forse, in alcuni casi, impossibile.
Una mano oggi arriva dalle nuove tecnologie. Ho avvertito un senso di euforia quando per la prima volta in vita mia, grazie ad Internet, sono riuscito ad ordinare un libro in totale autonomia. Sicuramente il futuro ci fornirà ulteriori mezzi per affrontare questo problema. Intanto però l’unico rimedio che abbiamo, oltre al buonsenso, è quello di parlarne.
Nascondiamo il lato migliore
di Marco Parisi
Il tema della privacy è una questione piuttosto delicata, non solo perché riguarda gli aspetti più intimi della nostra vita, ma perché viene spesso ridotta alle parti più intime del nostro corpo.
“Vergogna è far del male”, dice la saggezza popolare. Eppure ci imbarazza molto di più esprimere gesti di affetto, di tenerezza o anche il nostro desiderio sessuale verso un’altra persona piuttosto che offenderla, oltraggiarla o deriderla. In sostanza ci vergogniamo molto di più nel far parlare il nostro corpo e i nostri gesti amorevoli piuttosto che la nostra lingua. Cerchiamo la privacy per le cose belle e siamo pronti a sbandierare il nostro lato peggiore.
Nel seminario di Lignano Sabbiadoro, grazie alla parziale assenza di privacy, ho potuto ascoltare splendide storie private di una sessualità vissuta con libertà e con estrema dolcezza. Rapporti in cui l’handicap è risultato paradossalmente un’opportunità per vivere dei rapporti amorosi in maniera più completa, più “attenta” all’altro.
Ciò non elimina tuttavia una serie di problemi pratici o “logistici” che influiscono sui rapporti, e che non sono stati affrontati con la dovuta profondità (forse non solo per la mancanza di tempo). Sono certo che non mancheranno le occasioni per farlo.
Mi preme soltanto sottolineare, come ho già fatto durante il seminario, che l’importanza di avere vicino persone comprensive e che ci vogliano bene è un bisogno universale, non soltanto di chi è disabile. E’ ciò che queste persone fanno (anche fisicamente) per noi e soprattutto il modo in cui lo fanno che può risultare rispettoso o lesivo della nostra privacy. Tutto si gioca nel rapporto personale.
Il limite lo stabiliamo noi
di Anna Petrone
Parlare di privacy non è poi così semplice. Ogni individuo per quanto vuole fa parte di un contesto sociale e quindi deve, per sopravvivere, adattarsi anche alle esigenze altrui, che esso sia disabile o no.
La parola privacy spesso la si riconduce alla sfera intima sentimentale o sessuale e si finisce per non tenere conto di tante altre sfumature che la caratterizzano.
Ogni gesto ogni situazione viene vissuta in modo differente a seconda del contesto. A volte ci capita di arrossire se siamo scorti in situazioni d’intimità, come può essere quella in cui, lasciandoci andare ad un momento di tristezza, scoppiamo in pianto. In quel frangente dover spiegare a chi è vicino cosa sta accadendo ci costringe a metterci a nudo, anche se non avremmo voluto farlo. Per contrasto notiamo che se ci fossimo trovati ad un funerale – dove quasi tutti piangono – il nostro pianto, in quella data situazione, sarebbe passato quasi inosservato.
Certo per la persona con disabilità la cosa risulta un tantino più difficile poiché per ogni sua esigenza deve dipendere da altri, ma credo che questo faccia parte del “gioco”. Tutto sta a saper gestire le situazioni confidando nell’intelligenza e nella discrezione di chi ci circonda. Comunque è pur vero che siamo anche noi a definire il limite entro cui vogliamo far entrare gli altri.
Altro elemento che è di notevole importanza è la divisione degli spazi. In un ambiente ridotto anche la privacy ne risente. Il dover condividere degli spazi induce al dover negoziare per avere un po’ d’intimità. Bisogna anche dire che, in una realtà in cui la figura di un assistente è presente ventiquattro ore su ventiquattro, non è solo la persona disabile ad essere limitata, ma, presumibilmente, anche la sua famiglia. Porto un esempio personale: vivendo io in famiglia, ed avendo con Noi una persona che ci aiuta, anche per i miei genitori è venuta a ridursi l’intimità. Questo perché la presenza di una persona – soprattutto se straniera, e quindi dotata di abitudini spesso differenti dalle nostre – condiziona comunque.
Forse con un discreto adattamento ed un reciproco venirsi incontro è possibile trovare un equilibrio!
Pochi segreti
di Mariella Petrone
Anche quest’anno, come avviene ormai da tre anni, ho avuto l’opportunità di partecipare come accompagnatrice di mia sorella all’Assemblea Nazionale della UILDM a Lignano. Però, diversamente dalle volte precedenti, sono riuscita a seguire l’incontro promosso dal Gruppo Donne. Ci tenevo a non farmi sfuggire questa occasione perché gli scorsi anni ho sentito che tutti erano molto entusiasti di questi incontri. Nei momenti di convivialità se ne parlava sempre, e sempre in modo positivo, e ogni volta mi sono pentita di non aver fatto questa esperienza. Ho voluto precisare tutto questo perché questa è stata la molla che ha fatto scattare in me la determinazione a partecipare a questo incontro.
Purtroppo però l’anelato incontro non è stato interessante come mi aspettavo. Forse mi ero creata troppe aspettative. Nonostante le ottime doti di attore e psicoterapeuta, l’estrema comunicativa del coordinatore non mi è piaciuta molto. Non mi è piaciuto molto com’è stato condotto il gioco tra le parti e, soprattutto, mi è sembrato che il coordinatore abbia parlato troppo, quasi a volersi sostituire alle persone disabili … lui che disabile non è!
Ricordo soprattutto il mio stato d’animo un po’ inquieto, avevo voglia di andare via, ma sono voluta restare sia per vedere come andava a finire, sia, soprattutto, perché fino alla fine ho sperato che potesse cambiare il modo di condurre il gruppo.
Sulla privacy ho sempre avuto delle idee ben chiare: posso tranquillamente affermare che per me la privacy non esiste. Io ho pochi segreti e penso che i tabù sono quelli che ognuno di noi vuole crearsi! Mi rendo conto che per molte altre persone non è così. Conosco persone che difendono la loro privacy e i loro momenti particolari in modo molto forte.
Parlare di alcune cose con un’amica, oppure aiutare in un particolare momento (non mi riferisco solo ad un bisogno) sono esperienze che aiutano a saldare un legame con quella persona creando un rapporto vero.
Inoltre, forse in modo un po’ estremo, penso che se – come ho già avuto modo di affermare – il fatto che la privacy non esiste è un concetto molto presente nella mia vita di persona senza disabilità particolari, ritengo che ciò sia maggior ragione vero per le persone disabili. Come potrei mai riuscire a legare privacy con disabilità?
Voglio sottolineare che il valore che io do alla parola privacy è quello di raccontarsi, di essere liberi di chiedere di essere aiutati, di gioire o di piangere con altre persone senza inutili schermature, di sentirsi liberi in tutto senza inutili sovrastrutture. Tanto, rinchiusi soli nel nostro guscio, e schermati dalla parola “praivacy”, possiamo fare veramente poco, abili e non abili!
Ritornando all’incontro di Lignano mi sento solo di poter dire bravo, anzi bravissimo, al dottore per le sue doti di attore.
Che strana persona
di Elisa Tocchet
Cosa dire del seminario!!?? Non saprei. Forse che mi aspettavo qualcosa di meglio. Qualcosa di più privato, ma è difficile parlare delle proprie esperienze sessuali, o comunque legate alla corporeità, con trenta persone davanti, con gente che entra e che esce in continuazione. Credo bisognerebbe pensare a seminari chiusi nel vero senso del termine: massimo quindici persone… certo non è semplice.
Comunque ritornando all’incontro, ma dove l’avete pescato quel personaggio strano di cui non ricordo il nome ma l’età si, sessant’anni portati benissimo, che di lavoro fa lo psicoterapeuta, l’attore e, diciamolo, con qualche tendenza a fare il papà a giovani disabili in cerca di esperienze amorose??!! Niente da ridire sulla moralità, ma non credo sia tanto bello parlare di cose personali riguardanti un suo “amico” con davanti cinquanta persone che potrebbero farsi idee sbagliate. Troppi argomenti buttati là, niente è stato approfondito. Un esempio? La privacy non esiste! Ma come non esiste: era anche il titolo dell’incontro??!!
Ma attenzione, la cosa più bella è stata quella meravigliosa signora (l’assistente del coordinatore dell’incontro: n.d.r.) che non ha parlato per tutto il tempo, non si è mossa, credo abbia a mala pena respirato, ma cosa c’entrava??!! Forse aveva il compito di mettere le persone a proprio agio??!!
Dopo che, come al mio solito, ho criticato un po’, devo dire che gli argomenti erano molto interessanti e la partecipazione alta, tutto sommato mi sono divertita e ho sentito interventi apprezzabili. Elogio sopratutto quel ragazzo argentino, tranquillo e semplice, perché da ogni sua parola traspariva chiaramente l’amore e il profondo rispetto verso la propria donna.
Così prendi freddo!*
di Gaia Valmarin
Io, lui, l’altro… E la privacy?: partendo semplicemente dal titolo del seminario, l’argomento che ci è stato proposto dal Gruppo Donne UILDM è uno di quelli da far tremare le vene ai polsi, soprattutto alle componenti più timide e riservate dell’Assemblea. Che vuol dire “privacy”? Non è solo poter avere momenti di intimità con il proprio compagno, senza dover spiegare la situazione ogni volta all’assistente, ma è anche poter parlare al telefono senza che ti ascoltino; poter leggere una lettera senza che da dietro sbircino; poter confidarsi con un’amica senza che altri intervengano; poter piangere senza dover dare spiegazioni a chi ti asciuga le lacrime. Il diritto alla privacy viene leso quando i medici, gli insegnanti, gli assistenti e soprattutto i familiari parlano di te, della tua patologia, delle tue difficoltà con altri senza valutare che `tu’ sei soprattutto una persona con la propria dignità.
La privacy è potersi far aiutare in bagno o cambiarsi senza avvertire la sensazione di essere un oggetto da manipolare. In verità se si riesce a estraniarsi quando un estraneo accudisce il proprio corpo diventa altrettanto difficile riuscire a creare un’isola privata per i propri pensieri, soprattutto nell’età adolescenziale, nella quale la persona disabile soffre ancora più dei suoi coetanei l’invadenza dei propri genitori. Naturalmente l’incontro doveva vertere soprattutto su come stabilire un rapporto di coppia completo quando uno dei due, o entrambe i partner vivono dei reali impedimenti nei movimenti e c’è la necessità di farsi aiutare. Come dire all’assistente, alla cugina, alla mamma “Sdraiami, spogliami e ci vediamo fra un’ora”? La mamma dirà: “Così prendi freddo!”
Come si può stare con una persona in intimità e poi doversi far lavare, rivestire e alzare; questo può andare bene una volta, ma poi? Nella quotidianità il ruolo di amante e di infermiere mal si conciliano. Su tutto questo ed altro ancora si doveva parlare nel temerario seminario, ma così non è stato. Infatti, con perplessità espressa in seguito da molte partecipanti, le varie sfaccettature dell’argomento sono state appena sfiorate, il bravo e affascinante terapeuta non è riuscito a convogliare le tante energie dei partecipanti in un percorso stabilito. Sono state così inevitabili le dispersioni e i fraintendimenti, a ognuna di noi è parso di essere andata ad un seminario diverso.
*Articolo estratto dalla rivista Finestra Aperta.
Siamo rimasti in superficie
di Damiano Zampieri
Preciso subito che ho potuto partecipare soltanto nelle ultime due ore del seminario e, quindi, ciò che dirò è da prendere doppiamente con beneficio d’inventario. Tra l’altro ricordo di non aver profferito parola e, quindi, ho dato ben scarso contributo, partecipando un po’ passivamente. Devo però ammettere che in realtà ho fatto un po’ fatica ad “agganciarmi al treno” perché non ne capivo la direzione, né la velocità.
Le attese, immagino per tutti i partecipanti, erano assai elevate: il tema, infatti, poteva essere, come dire, “eccitante”…
Momento, momento, calma: non intendo dire che mi aspettavo un’orgia! Solo che le problematiche sulle quali ipotizzavo ci sarebbe stata una qualche trattazione/discussione riguardavano anche aspetti molto personali, meglio, intimi. D’altro lato mi aspettavo, al tempo stesso, si toccassero anche argomenti sommamente materiali, pratici, concreti…
In realtà ho avuto l’impressione che si sia rimasti in superficie, senza mai andare a fondo di nulla: le cose più interessanti le ho sentite dalle esperienze dei presenti (Francesca, poi mi pare Mina, Algo, e altri), molto (troppo) poco dal “conduttore”. Non è la prima volta che trovo “troppo assente” chi invece, a mio parere, dovrebbe prendere la discussione per mano. E, sarà un caso, mi è successo sempre con qualche psicologo o “esperto” della comunicazione.
Che sia un vizio? Che abbiano tutti letto gli stessi “bignami” sulla conduzione dei gruppi?
Capisco che lasciare completamente liberi i partecipanti di dire la loro possa essere un metodo come un altro (teoricamente molto più “libero”) ma, francamente, non penso sia quello più adatto per appuntamenti spot, brevi e occasionali come quello di Lignano. Per fare due chiacchiere con gli altri ho tutto il tempo dopo il caffè o davanti ad una birra al bar, non mi serve la presenza di un sessuologo…
Detto ciò, l’argomento è sempre e comunque coinvolgente ed interessante, tanto che, se ricapiterà, vi parteciperò ancora…ed ancora…ed ancora…